Il Fallimento del Razionalismo

 

La Luna Arcani Maggiori
La Luna

Ho già scritto della c.d. fine del razionalismo. Ebbene, vorrei tornare sul tema giacché credo sia, almeno sotto il profilo filosofico, fra gli aspetti più drammatici del tempo presente. Anzi, per come la vedo io, il più drammatico in assoluto.

Non v’è dubbio che i temi più angosciosi con i quali l’umanità sta facendo i conti, sembrano convogliare tutti sul piano economico e ambientale. Crisi economica senza uscita e crash ecologico (con la sua brava coda di eventi climatici estremi) sono gli aspetti attorno ai quali le intelligenze del pianeta (è detto con certa ironia) stanno parlando e straparlando. E questo è talmente vero che nessuna di queste teste pensanti, occupata com’è a parlare, si avvede dello sconfinato abisso sul quale è giunta l’umanità intera.

Perché se è vero che il cervello rettile occupa il vertice della piramide gerarchica umana e che, da cotanta posizione, determina le priorità che, come sappiamo, sono la sopravvivenza e la riproduzione dei singoli individui e, quindi, della specie, è anche più vero che tutto questo può avvenire solamente se l’intero sistema poggia su fondamenti filosofici molto precisi e condivisi da tutti.

Potrebbe apparire una banalità, eppure, se ci sforziamo di pensare/vedere l’umanità come un singolo individuo, allora dovrebbe divenire evidente che questo super-individuo è descrivibile come un’entità psichica costituita da tre centri (rettile, emotivo e intellettuale). In altre parole, quella che altrove ho definito L’Eggregora umana.

Ora, se per millenni questa Eggregora ha avuto uno scopo trascendente, magari in apparenza contraddittorio poiché alimentato dalle varie religioni sparse sul globo e, di conseguenza, reso confuso dalle diverse descrizioni da queste proposte, in realtà, ogni vivente è stato sostenuto nel suo esistere quotidiano proprio dalla speranza di una trascendenza, quale che fosse. Era la trascendenza, l’unicità sottesa a ciascun credo religioso a rendere coerente lo scopo dell’Eggregora umana. Cristiani, musulmani, ebrei, buddhisti e induisti, per citare le religioni più importanti, erano tutti accomunati dall’idea che esistesse un al di là, ossia un piano di realtà diverso da questo e nel quale risolvere in qualche modo le grandi domande esistenziali che si pone da sempre il genere umano: chi siamo, da dove veniamo e perché siamo qui.

L’avvento del razionalismo, tuttavia, ha determinato il mutamento drammatico di tutto ciò perché ha spazzato via questa descrizione dal primo istante della sua comparsa. In sostanza, quando Cartesio inizia a parlare e a pubblicare le sue idee, “dio” muore. E accade nell’intera Eggregora in modo istantaneo. Ovviamente, poi, le cose hanno un’inerzia e, di conseguenza, dei tempi di realizzazione, ma da quell’istante è stata solo una questione di tempo.

Ora, quando la ragione si sostituisce a “dio”, accadono alcune cose che ho già descritto qui ma che vorrei riprendere brevemente. Nello specifico, l’assunzione del ruolo di guida dell’umanità, prevede necessariamente che chi ha assunto il comando (la ragione) colmi il vuoto lasciato dalla distruzione della descrizione precedente. Non si può lasciare l’umanità orfana rispetto al profondo bisogno di trascendenza che la morte incombente genera in ciascun vivente. Perciò e come ho già scritto, la risposta razionalista al bisogno di trascendenza dell’umanità è la tecnologia e, in particolare, il motore il quale diviene, proprio perché genera forza-lavoro, “l’uovo oggi” al posto della “gallina domani”. Con il motore, infatti, il centro rettile può nutrire l’illusione di sfuggire alla morte poiché la macchina fornisce magicamente la soluzione alla scarsa produttività del lavoro eseguito con le sole braccia (l’avverbio “magicamente” è usato in senso provocatorio, ma nemmeno tanto giacché per il rettile la comprensione del funzionamento della macchina, essendo impossibile, è irrilevante).

Questo, com’è detto, spinge il rettile dentro un delirio di onnipotenza che non starò a descrivere nuovamente ma che, tuttavia, nel corso degli ultimi cent’anni genera la tempesta perfetta, ossia il disastro ecologico. Tutto parte dal processo produttivo che realizza necessariamente un sistema economico il quale basa se stesso sul folle assunto della crescita infinita. Chiunque può capire che un sistema che prevede una crescita infinita, applicato a un oggetto finito (in termini di risorse) qual è il pianeta sul quale viviamo, porta inevitabilmente l’oggetto stesso alla morte per esaurimento delle risorse disponibili. E questo folle schema è propriamente il motivo dell’eco-crash il quale, a sua volta, spinge il signor Rossi nell’inferno della seduzione alla quale segue l’abbandono poiché, se prima gli avevano spiegato che non esiste alcunché al di fuori della materia e che la felicità va cercata “qui e ora” nelle meraviglie della produzione tecnologica, adesso quell’infelice si ritrova in un mondo morente e senza più promesse di gratificazioni ultraterrene.

Comprensibile che il signor Rossi abbia tutti i motivi di avvertire una certa disperazione la quale, tuttavia e allo stesso tempo, dal medesimo Rossi è negata e questo semplicemente perché non esiste altra scelta rispetto a quanto c’è adesso. Indietro, infatti, non si può tornare perché la “zona sacra” è stata violata e distrutta, mentre avanti c’è solo la morte che, però, non conduce in alcun luogo. E, nel mezzo, quel che sino a un attimo prima era il regno del benessere, ora è un inferno tecnologico intriso di veleni d’ogni tipo e sottoposto a una dittatura finanziaria che, dopo aver divorato le idee, ora ha preso a fagocitare le persone (neo-schiavismo).

Tutto questo ha originato una nevrosi collettiva che, soprattutto dopo l’avvento di internet, è degenerata sempre più in una vera e propria psicosi, individuale e collettiva. In sostanza, la follia che dilaga nel genere umano in termini psicodinamici è descrivibile come il prodotto ultimo e fatale di una nevrosi per la quale non esiste guarigione. E questo è dimostrato dalla storia quotidiana che il mondo sta vivendo, dal progredire esponenziale di atti folli e distruttivi fra i quali gli omicidi, le stragi e i suicidi sono soltanto l’aspetto più smaccato ed evidente.

Il problema è che il mainstream mediatico tende a negare tutto questo, cercando in ogni modo di raccontare una realtà diversa e giungendo, in modo sempre più frequente e smaccato, a presentare dati falsi o, nella migliore delle ipotesi, non aggiornati. Si veda, ad esempio, questa tabella, pubblicata dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS), del numero dei suicidi ogni 100.000 abitanti nei diversi stati. La cosa curiosa è che il dato temporale riguarda l’ultimo anno disponibile che per l’Italia è il 2009, tuttavia la media di 2007,745. In sostanza, dati vecchi di oltre otto anni. E la cosa non finisce qui perché in Italia, ad esempio, l’Istat non pubblica più il conteggio annuale dei suicidi economici dal 2012 e l’ultimo dato disponibile è fermo al 2010. In altre parole, i dati forniti dall’istat sono falsi.

Fortunatamente, esistono altre fonti, come l’Osservatorio sui suicidi diretto dal sociologo Nicola Ferrigni dell’Università Link Campus di Roma, ma questo non inficia l’ipotesi che sto proponendo. Di là della polemica nostrana sui suicidi per motivi economici, infatti, il punto rimane questo bisogno profondo, manifestato a ogni livello, di descrivere una realtà diversa e meno disturbante di ciò che, invece, è raccontato dai fatti. Strategia che, basandosi sulla menzogna, è inevitabilmente perdente giacché produce effetti devastanti proprio sugli unici sentimenti che potrebbero almeno ritardare l’inevitabile, ossia sul senso di fiducia e di appartenenza. E fra questi mentitori seriali annovero, oltre ovviamente a politici e giornalisti, anche professionisti di varie discipline importanti, come gli ingegneri sui temi di carattere ambientale, i medici in campo farmacologico e gli psichiatri, gli psicologi e i sociologi riguardo alla lettura di fenomeni più disturbanti.

Come ci si può fidare di persone che mentono costantemente e su qualsiasi argomento (talune persino in buona fede)? Così, accade che il gap fra la promessa razionalista della felicità “qui e ora” e la realtà delle cose, grazie anche al furioso e maldestro tentativo di nasconderlo attraverso la quotidiana menzogna veicolata dal mainstream, aumenti ogni giorno, aggravando inevitabilmente la nevrosi in atto e trasformandola nella psicosi che ciascuno può, ormai, percepire ovunque.

Ovviamente, esistono diversi modi di reazione alla sofferenza nevrotica. Lo strato sociale più inconsapevole (e anche più numeroso), ad esempio, è quello nel quale la nevrosi sembrerebbe penetrare meno efficacemente. Tuttavia, ciò è illusorio. Parliamo della pancia del sistema, ossia il luogo, sì, meno reattivo ma che, proprio per questo, possiede l’inerzia maggiore. In altre parole, proprio come fa un volano, richiede un’enorme energia per essere attivato ma, quando è in movimento, tende a mantenere il moto per molto tempo. Da qui, infatti, provengono le manifestazioni più clamorose della psicosi in discorso, quali gli omicidi/suicidi che, la cronaca lo testimonia, spesso riguardano coppie di anziani, oppure le stragi come quella di Aurora o, ancora, la violenza di gruppi di individui che può sfociare in atti di ribellione collettiva.

A un livello diverso si colloca il fenomeno del c.d. complottismo il quale interessa un numero certamente inferiore di soggetti e, almeno fra le sue leve inziali, con un’istruzione di grado probabilmente più elevato ma, soprattutto, con motivazioni individuali più marcate e definite. Forse, è il caso di ricordare che il padre del complottismo mondialista fu Rudolf Steiner, esoterista austriaco fondatore dell’antroposofia. Senza addentrarmi ulteriormente nella storia del fenomeno (in rete trovate di tutto e di più), affermo che quella dei complottisti (o cospirazionisti) è, almeno a livello intellettuale, la categoria che meglio descrive il dramma del tradimento delle promesse fatte dal razionalismo sin dal suo primo insorgere e il profondo senso di smarrimento che tale inganno ha indotto nelle persone.

In proposito, vorrei proporre come esempio, quella branca del complottismo che attualmente fa capo alla c.d. Flat Earth Society, un’associazione fondata nel 1956 da Samuel Shenton in Inghilterra e ora con sede in California, la quale sostiene che la terra, il pianeta sul quale viviamo, non è una sfera ma un disco piatto. Fra i primi sostenitori, vi fu William Carpenter (1830-1896) con le sue “Cento prove che la terra non è un globo” (coevo, quindi, del rinascente spiritismo di quegli anni).

Ho scelto questo esempio, giacché i sostenitori di questa teoria si dichiarano apertamente credenti e, per questo, propugnano il ritorno a una visione pre-razionalista nella quale la terra è stata creata da “dio” e, per questo, è il centro dell’universo (con sole e luna che ruotano intorno ad essa).

In buona sostanza, la giustificazione filosofica di questa teoria sta proprio nell’elemento decisivo della divaricazione fra razionalismo e teismo ed è facile vedere come il motore di una tale impostazione sia precisamente la riconquista (peraltro, del tutto impossibile) di quella zona sacra distrutta dall’imperio razionalista. E questa cosa, se volete, sembrerebbe confermata dal fatto che vi sono ingegneri che mettono in discussione la propria attendibilità facendo video nei quali investigano le teorie a sostegno della Flat Earth. Brian Mullin è uno di questi. Per la verità, Mullin sta investigando in modo fortemente critico l’intero fronte delle attività spaziali (dal presunto allunaggio alla stessa attività della Stazione Spaziale Internazionale), ponendo questioni piuttosto precise e relative alla compatibilità di tali attività con quelle che sono le leggi fisiche conosciute.

Non entro nello specifico (chi vuole, può guardarsi i video di Mullin che, a parte quelli sulla terra piatta, sono piuttosto interessanti), ma mi pare evidente che un ingegnere non rischia la propria reputazione se non ha una motivazione cogente per farlo. E siccome non intendo fare il complottista, a mio modesto avviso Mullin è proprio l’espressione di questa profonda nevrosi, di questo conflitto che scaturisce dal fallimento del razionalismo che ha portato l’uomo alla rovina e che, paradossalmente, genera al proprio interno istanze logiche che sfidano la logica come, ad esempio, cercando di dimostrare che la terra è un disco piatto ma che, allo stesso tempo, pongono domande talmente scomode da minacciare il crollo di tutto il sistema (come quelle che Mullin pone riguardo ai voli spaziali, ad esempio).

Ho portato l’esempio di Brian Mullin per via del fatto che, trattandosi di un ingegnere, è capace di costruire ragionamenti, almeno in apparenza, molto solidi. Tuttavia, sono sempre più numerosi i documenti rinvenibili in rete che intendono ribaltare completamente la lettura storica e scientifica dei fatti che abbiamo appreso a scuola fornendo, di converso, prospettive del tutto diverse e opposte alla narrazione convenzionale.

Sul piano storico, ad esempio, un autentico gigante è Mauro Biglino il quale, senza alcuna forzatura, ma limitandosi a una lettura testuale, ha fatto a pezzi la bibbia, dimostrando che quel libro NON parla di “dio”. Anche qui, purtroppo, l’autore non ha resistito o non ha voluto limitare la propria indagine all’aspetto appena detto, ma s’è spinto oltre, verso un’ipotesi aliena che personalmente non condivido. Si tratta, però, di un discorso che ci porterebbe fuori tema.

Il problema centrale resta il fallimento del razionalismo e le conseguenze davvero drammatiche che questo tracollo ha avuto per ciascuno di noi e per l’Eggregora umana. Infatti, a ben guardare, non esiste luogo nel quale possiamo trovare salvezza e riscatto perché “dio” è morto e la tecnologia, dopo avere ucciso noi e portato il pianeta alla rovina, s’è dimostrata incapace di portarci via da qui. Sino a che restiamo legati a una forma fisica, non possiamo abbandonare la superficie del pianeta terra, né volando, né scavando e chi afferma il contrario è un pazzo, oppure è in malafede.

La vera dimensione del problema non ha nulla a che vedere con la tecnologia. Non abbiamo bisogno di più tecnologia, semmai il contrario. Non ha senso profondere sforzi per la ricerca tecnologica, anzi, questo non fa che aggravare vieppiù una situazione già disperata. Ciò che serve è ricerca filosofica! Ciò che serve è un nuovo paradigma percettivo il quale ci permetta di andare oltre questo piano di realtà che, ormai, ha dato tutto ciò che poteva dare.

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