IM-Teoria e velocità di propagazione della consapevolezza

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L’intento di quest’articolo è di proporre un modello che spieghi come e a quale velocità la consapevolezza si propaga nel Multiverso.

Postulati fondamentali del modello proposto sono i seguenti:

  • La Coscienza crea la realtà;
  • La Coscienza sostiene e modifica la propria creazione descrivendola continuamente tramite le sue funzioni fondamentali: consapevolezza e attenzione (vedi Keter);
  • L’atto di descrivere la realtà si compie esclusivamente tramite l’elaborazione delle informazioni che viaggiano costantemente fra osservatore e osservato;
  • Sul piano fisico, è possibile determinare la velocità di propagazione della consapevolezza parificandola alla velocità della luce perché questo è il parametro al quale viaggia la maggiore quantità d’informazioni fra osservatore e osservato.

In effetti, il primo aspetto da considerare è proprio il piano fisico giacché in esso la massima velocità di propagazione delle informazioni è la velocità della luce. Ed è precisamente questo il nodo del problema, perché è facile dimostrare come la velocità di propagazione della consapevolezza sia legata fatalmente alla velocità della luce.

In base ai postulati “1)” e “2)”, per chi li accetta ovviamente, se porto la mia attenzione su una sedia, io sto sostenendo la descrizione di quella sedia. Questo è un fatto enorme giacché descrive un’interazione “osservatore/osservato” totalmente dipendente dall’osservatore (siamo in piena fisica quantistica).

È l’osservatore che decide se e come l’oggetto osservato esiste. Ne decide ogni aspetto di colore, forma, peso, massa e, soprattutto, lo qualifica spazio-temporalmente. Ora, questa manovra può dirsi vera solo se la distanza fra osservatore e osservato permette all’atto creativo un’efficacia immediata sull’oggetto osservato. E ciò avviene solo quando la distanza fra osservatore e osservato è tale da permettere alla velocità della luce di azzerare, di fatto, il tempo che l’attenzione usa per portare la consapevolezza sull’oggetto.

È evidente che se tale distanza supera un determinato limite quantitativo, questo meccanismo è destinato a fallire!

Ne forniscono prova evidente i moderni telescopi che si avvalgono dell’aiuto delle c. d. lenti gravitazionali, ossia di oggetti cosmici massicci interposti tra noi e le galassie più lontane e che ne concentrano la luce. E’ grazie a tali strumenti che l’osservatore nutre l’illusione di portare la sua consapevolezza lontano nello spazio e nel tempo. Parlo d’illusione perché, in realtà, egli non lo fa e il motivo è che tale meccanismo funziona solo localmente, ossia in un ambito nel quale la velocità della luce azzera il tempo di comunicazione in modo che la distanza che la luce stessa deve percorrere non deforma l’informazione in senso spazio-temporale.

Che vuol dire questo? Semplice. Se osserviamo, ad esempio, una stella lontana cinquantamila anni luce, noi vediamo lo stato di quella stella come esso era cinquantamila anni fa. Ossia, ciò che vediamo è la rappresentazione di uno spazio-tempo illusorio giacché, per quel che ne sappiamo, quella stella potrebbe essere già morta e certamente non è più nel luogo nel quale la stiamo osservando.

In sostanza, di quella stella non possiamo dire né che in questo istante si trova lì dove la stiamo guardando e neppure che abbia l’aspetto che stiamo osservando, poiché essa si trova in un altro spazio-tempo. Così, ciò che vediamo di quell’oggetto, stella o galassia che sia, è propriamente illusorio, una realtà che appartiene a un passato remoto e che, di fatto, non esiste più.

Questo, se non ha grande rilevanza per fisici e astronomi che continueranno a fare il loro prezioso lavoro, è mortale per il meccanismo di propagazione della consapevolezza perché lo riduce sino a vanificarlo sostanzialmente. In altri termini, il limite superiore del sistema fisico, ossia la velocità della luce, è qualcosa di totalmente disfunzionale per il potere creativo della consapevolezza perché lo confina a livello locale, entro il sistema solare.

grafico-espansione-consapevolezza

Figura 1: grafico dell’espansione della consapevolezza (modello a gusci)

Poniamo che il puntino nero al centro del grafico sia il sistema solare, mentre i cerchi circoscritti siano porzioni di spazio delimitate a: cinquantamila, un milione e un miliardo di anni-luce. È evidente che la consapevolezza può espandere in modo “reale” non oltre i limiti del puntino nero, giacché le informazioni portate dalla luce sui diversi oggetti che popolano il cosmo oltre quel limite saranno attendibili in modo inversamente proporzionale alla distanza dalla quale provengono.

Questo fatto disegna una serie di “gusci” i quali sono individuati dalla distanza dal nostro pianeta degli oggetti che li popolano. Distanze che si pongono e agiscono come limiti insormontabili rispetto al potere descrittivo della consapevolezza perché marcano in modo vieppiù illusorio l’informazione in arrivo.

Attenzione, quell’informazione non è falsa, è solo scaduta perché l’oggetto che l’ha generata non si trova più in quello spazio-tempo. Certo, le attuali conoscenze in campo fisico e astronomico ci danno una bella mano a disegnare scenari probabili e “verosimili” rispetto allo stato reale e attuale degli oggetti, anche di quelli più lontani, ma si tratta in ogni caso di una scommessa sullo stato vitale del gatto di Schrödinger (con la differenza che, alla nostra “forma fisica”, l’apertura della scatola che rinchiude l’enigma sarà per sempre preclusa).

È questo il motivo per il quale la velocità della luce costituisce un limite del tutto disfunzionale all’espansione della consapevolezza nel nostro Universo (per non parlare del Multiverso), perché distorce l’informazione sullo stato degli oggetti osservati in modo direttamente proporzionale alla distanza dall’osservatore. È per questo motivo che ritengo conveniente, per la Coscienza, cercare un modo diverso di porre se stessa rispetto a tale problematica.

Un modo che, in prospettiva, il lavoro sul network psichico che ora descriverò, potrebbe offrire. Si tratta, in sostanza, di rileggere la tradizione sciamanica prendendo per buone le premesse dalle quali questa muove e ammettendo, anche con una certa umiltà, che l’impianto razionalista, che sin qui ha sostenuto e indirizzato la Coscienza, probabilmente ha dato tutto quel che poteva.

Per fare questo illustrerò anzitutto quella che ho denominato IM-Teoria o Teoria dell’Inconscio Multiversale.

IM-Teoria

La Teoria dell’Inconscio Multiversale nasce, quasi per scherzo, per tentare anzitutto di spiegare come i c. d. alieni (ammesso e non concesso che esistano) potrebbero essere giunti sino a noi e, più in generale, per cercare di fornire una base razionale ai c.d. fenomeni paranormali. Si consideri che durante gli anni successivi e sino al tempo presente, chi scrive ha avuto modo di elaborare queste idee sino al punto d’affermare che il c. d. paranormale non esiste, essendo tutto (ma proprio tutto) riconducibile a un ambito di normalità (laddove questo lemma sia usato per indicare tutto ciò che può essere in qualche modo percepito dall’individuo). In specifico, l’IM-Teoria è proposta qui in modo riadattato rispetto a com’è apparsa su IDU (it.discussioni.ufo) nella primavera 2007, omettendo l’esposizione dei concetti di attrattore strano e della teoria della consapevolezza, entrambi rintracciabili in Keter.

I presupposti dai quali tale teoria muove sono i seguenti:

  • La suddivisione junghiana dell’inconscio in Personale e Collettivo;
  • L’alta probabilità, ormai accettata dalla comunità scientifica, dell’esistenza nell’universo di “altra” vita intelligente, oltre alla nostra;
  • L’esistenza del Multiverso così come inferibile dalla M-theory che ammette la possibilità creazioni diverse dalla nostra.
  • L’idea che la comunicazione fra tutti i possibili universi previsti dalla M-Teoria sia, a un livello diverso da quello fisico, possibile.

Il modello di riferimento, dunque, è quello del Multiverso e, in specifico, il modo con il quale le diverse creazioni possono comunicare tra loro reciprocamente. Come detto, la M-theory ammette la possibilità che altri universi (altre creazioni) esistano e, nella misura nella quale questi si basano su dimensioni diverse dalle quattro che determinano il nostro Universo, quelli possano essere governati da leggi diverse dalle nostre. Ciò che è negato dalla teoria in parola è che fra queste diverse creazioni vi possa essere qualsiasi tipo di comunicazione fisica. Non si esclude, però, che potrebbe esistere un altro mezzo per realizzare tale comunicazione. Così, l’idea che sta alla base della IM-Teoria è che tale mezzo possa essere la psiche.

Partiamo dalla suddivisione che Jung fa dell’Inconscio dividendolo in Inconscio Personale e Inconscio Collettivo (nel testo rispettivamente IP e IC). Il primo riguarda il singolo individuo, il secondo la specie. Ossia, l’IC è pensabile in termini di contenitore rispetto al primo.

Sul punto, marcherei da subito uno scostamento dall’impostazione junghiana. In particolare, l’IC è trattato dall’IM-Teoria non tanto quanto “contenitore metafisico universale”, bensì come ambito psichico relativo alla specie umana. Ciò perché, in caso d’esistenza di altra vita intelligente nel nostro universo, potremmo trovarci alle prese con una specie significativamente diversa dalla nostra (aliena, appunto) e per la quale potremmo dover ipotizzare l’esistenza di un IC diverso dal nostro, ossia con contenuto archetipico proprio. L’idea, in sostanza, è che a fronte di una specie dotata di consapevolezza ma radicalmente diversa dalla nostra in termini genetici, questa possa avere un IC che contenga immagini (archetipi) diverse da quelle che la psicologia del profondo ha individuato come proprie della specie umana. Ciò legittimerebbe l’affermazione dell’esistenza di un IC separato e autonomo rispetto a quello che conosciamo (sic!).

Se quanto sopra ha un senso, l’universalità psichica (sostenuta da Jung per l’IC) sarebbe, dunque, una qualità riferibile solo a un ambito più grande e gerarchicamente sovraordinato agli eventuali IC esistenti. Segnatamente, a un Inconscio Universale (IU) con contenuto archetipico proprio e che funga da contenitore rispetto sia ai diversi IC esistenti nel nostro universo sia, di conseguenza, all’IP relativo a ciascun componente d’ogni singola specie esistente.

A mente, quindi, della possibilità d’esistenza di creazioni “altre”, eventualmente rette da leggi diverse e con IU diversi, nulla vieta di pensare a un Inconscio Multiversale (IM). In altri termini, a una sorta di super-insieme psichico, magari anch’esso con contenuto archetipico originario, che si pone in modo trasversale a tutte le creazioni teoricamente esistenti (l’IM è la “norma di chiusura” del sistema).

Tale IM potrebbe essere il medium attraverso il quale viaggiano le ipotetiche consapevolezze che abbiano imparato a farlo. Con un sol colpo, niente più limiti fisici. Solo psichici. E superabilità logica di qualsiasi fenomeno che, in ambito squisitamente fisico, non sembra poter trovare spazio e/o giustificazione. Penso certamente all’USP (Ultra Sensorial Perception, Keter) e, all’interno di questa, all’intero fenomeno UFO che, unitamente a manifestazioni sconcertanti quali le abduction, possono trovare spiegazione. Come possa accadere questo, lo vedremo tra poco. Per il momento, il diagramma seguente propone uno schema generale che utilizza una struttura ad albero che tiene conto della quadripartizione proposta e la radice della quale è costituita dall’IM.

inconscio-multiversale

Nello schema proposto “IP_3_3_2” è la consapevolezza individuale numero 2 che esiste in quest’istante nell’IC_3 che, a sua volta, fa parte dell’IU_3, il tutto contenuto nell’IM (ovviamente, la forma dei singoli indirizzi è solo un generico suggerimento. In ogni caso, questi dovrebbero avere la caratteristica di bookmarks univoci, segnaposti assoluti, magari in forma analogica, capaci di disegnare una mappa all’interno della quale muoversi in modo preciso).

Abbiamo fissato quattro ambiti di riferimento, rispettivamente in relazione contenuto/contenente: Inconscio Personale (IP), Inconscio Collettivo (IC), Inconscio Universale (IU) e Inconscio Multiversale (IM).

L’idea è che i quattro livelli psichici suddetti esauriscano l’intera gamma d’esperienze realizzabili dalla singola consapevolezza. Ossia e a mente della teoria della consapevolezza (Keter), ipotizziamo che nel singolo individuo (a prescindere dalla specie alla quale appartiene l’individuo stesso) sia presente la medesima, generica struttura psichica (in sostanza, sto proponendo un modello psichico applicabile a qualsiasi consapevolezza esistente, umana o aliena che sia) composta dagli elementi sopra ricordati:

  • La consapevolezza in senso stretto, con struttura radiale e statica e ancorata alla propria creazione (al proprio universo) tramite il soma (in altre parole, quella specifica parte della psiche che restituisce all’individuo la consapevolezza d’essere e di esistere separatamente da quanto lo circonda);
  • L’attenzione, funzione specializzata della consapevolezza, con struttura vettoriale e dinamica e potenzialmente capace di “muoversi” in ognuno degli ambiti sopra indicati (dall’IP all’IM).

Come già ipotizzato (Keter), gli oggetti del sistema (realtà fisica + IP ) si comportano come attrattori strani rispetto all’attenzione del soggetto percepente. Ma che accade se l’attrattore sta, per qualità proprie, al di fuori della normale capacità percettiva dell’individuo? L’esperienza ci dice che rispetto a un tale oggetto vi sarà verosimilmente assenza di qualsiasi percezione.

Ne consegue che, volendo il soggetto percepente risolvere (percepire) un oggetto che si suppone presente ad esempio nel suo IC, dovrà generare un vettore attentivo diverso, adatto a questo tipo di manovra.

Chiaro che il problema sta tutto nella locuzione “generare un vettore diverso”. Che significa? Quali sono i parametri sui quali agire? Più in generale, come farlo?

Tuttavia, di là da tali domande più che legittime, a mente della quadripartizione proposta, chi c’impedisce di categorizzare i possibili “vettori attentivi” secondo il livello al quale funzionano? In particolare, nell’ipotesi che qualsiasi consapevolezza possa produrre uno specifico “vettore attentivo”, questi potrebbe variamente essere definito:

  • di I Grado qualora agisca all’interno dell’IP. Risolverebbe oggetti del mondo fisico di appartenenza;
  • di II Grado qualora agisca nell’IC. Risolverebbe oggetti di tipo psichico con corredo dimensionale del mondo di appartenenza (probabilmente senza la dimensione tempo poiché questa, a livello psichico, sembra assai inconsistente, se non addirittura inesistente. Vedi “Il sogno come universo a tre dimensioni”);
  • di III Grado qualora agisca nell’IU. Risolverebbe qualunque oggetto fino a dieci dimensioni;
  • di IV Grado Risolverebbe qualunque tipo di oggetto a undici dimensioni.

In sostanza, ipotizzando che una certa consapevolezza, umana o aliena, apprenda il modo di generare un vettore di IV Grado, questa sarà capace di viaggiare nell’intero IM. In altri termini, sarebbe capace di spostarsi in una qualunque delle 2048 creazioni che compongono il nostro Multiverso.

Ovviamente, in uno scenario di questo tipo un problema serio è costituito dal “residuo fisico” perché, se il riferimento è il corpo fisico, le difficoltà diventano molto grandi. Perciò, ne prescinderei. In che modo? Usando il Doppio mnestico, una sorta di contenitore sottile in grado di spostarsi nei diversi ambiti (IP, IC, IU e IM) a tempo zero. Questo è rilevante. In effetti, se in ambito psichico scompare sia la dimensione spaziale, sia quella temporale (e questo, forse, potrebbe essere oggetto d’indagine empirica) lo stesso concetto di spostamento fra punti diversi perde significato per lasciare il posto a quello di presenza e/o assenza attentiva che avviene istantaneamente. L’attenzione c’è o non c’è e, nel momento nel quale sorge, essa è lì, a prescindere dalla posizione spazio-temporale.

Ora e a parte le mie convinzioni sul fenomeno UFO in particolare e sui c. d. fenomeni paranormali in generale, vi sarebbe l’attivazione, da parte del soggetto percepente (umano o alieno), di un vettore attentivo di grado superiore al primo. Tramite tale vettore, l’individuo sarebbe testimone (in senso lato) di una manifestazione sostanzialmente psichica. Ciò, a ben guardare, potrebbe spiegare l’estrema elusività dei fenomeni in parola e, soprattutto, l’apparente impossibilità del reperimento di prove fisiche.

Si pensi alle abduction. Quando Corrado Malanga riferisce i racconti dei presunti addotti messi in stato ipnotico, narra di muri che divengono trasparenti e dai quali entrano gli alieni che prelevano il soggetto. Messa così è davvero difficile da digerire ma, se il tutto si svolgesse a livello psichico, tutte queste difficoltà semplicemente scomparirebbero.

Resta il problema, come già accennato, dei “residui fisici” di tali fenomeni e, in tema di abduction, mi riferisco specificamente sia ai micro-impianti, sia alle cicatrici presenti nel corpo degli addotti. Con tutte le cautele del caso, proporrei anche per quest’aspetto un approccio essenzialmente psichico. Posto che ogni fenomeno psichico tende a generare conseguenze di carattere fisico (si pensi anche solo alle malattie psicosomatiche), non potremmo vedere tali segni (almeno le cicatrici) come auto-prodotti? In fondo, se il soggetto è addotto a livello psichico, questo è un fatto che non può restare senza conseguenze. Come dire che il soggetto necessita in ogni caso, a livello di IP (di “prima attenzione”, direbbe un castanediano), di una lettura coerente dell’immagine che ha di se stesso. Generare cicatrici che attestino nel fisco ciò che è accaduto nella psiche potrebbe essere frutto di un meccanismo di questo tipo.

Personalmente e riguardo all’essenza dell’IM, non avrei alcuna difficoltà a usare lemmi quali “magia” o locuzioni quali “grande agente magico universale”; sono solo linguaggi, averne paura è sempre un problema serio, giacché la paura è il primo ostacolo da superare per arrivare alla generazione di vettori di grado superiore al primo. Tuttavia, non mi pare ve ne sia alcun bisogno perché è possibile mantenere l’intera speculazione in ambito strettamente psicologico, anche se, per farlo, vi sono due fenomeni che sarebbe necessario cominciare studiare seriamente. Mi riferisco ai sogni lucidi e alle OOBE (Out Of Body Experience). Se, come penso, la difficoltà vera è quella di riuscire a contestualizzare un concetto come quello di vettore attentivo (soprattutto di grado superiore al primo), la via per farlo potrebbe essere proprio l’esperienza onirica intesa in senso lato. Questo perché sia il sogno lucido, sia le OOBE sono fenomeni durante i quali il soggetto sperimenta una consapevolezza slegata dal soma.

V’è da dire che tali fenomeni sono profondamente interconnessi, tanto che le OOBE spesso sono vissute come “estensione” dei sogni lucidi. In ogni caso, ritengo che una buona ipotesi di lavoro potrebbe essere quella di un team di “sognatori” e/o “proiettori” diretti da ricercatori sufficientemente preparati e motivati.

In sostanza, si tratterebbe di riverificare tutte le ipotesi di fenomeni non ancora compresi e apparentemente inspiegabili non in ambiente fisico, bensì esclusivamente psichico. Il punto è rilevante giacché nei resoconti dei pochi ricercatori che si sono occupati di queste problematiche (Laberge e Monroe, per citarne alcuni) vi è immancabilmente la tendenza a scivolare in un’esperienza mistica totalizzante che supera di slancio la fantastica vastità del “sogno mutiversale” per giungere, paradossalmente, a una sua sostanziale negazione.

In ogni caso, quel che abbiamo appena fatto è stato indicare l’esistenza di un network psichico dentro il quale la velocità di propagazione della consapevolezza è infinita (tempo zero) e che può essere acceduto e percorso, ancorché sotto condizioni abbastanza rigorose, da singoli individui o anche da gruppi (il neuro-deliri è sempre aperto, è bene ricordarlo).

The gateway is open. Perhaps, some of you will decide to cross it.

emotic10

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