Quantum Jump

Premessa

Da anni, ormai, si sente parlare di “salto quantico”. Basta farsi un giro in rete per trovarne numerosi esempi giacché sempre più persone pensano seriamente d’aver compreso cos’è, al punto da spiegarlo con precisione. In effetti, il concetto, formulato anni fa probabilmente da qualche newager, oggi sembra aver generato pletore d’individui che ne parlano come di qualcosa di molto precisamente definito.

Ebbene, io non so cosa sia il “salto quantico”, presumo che lo saprò solo quando “salterò”. In ogni caso, ho pensato di poter formulare un’ipotesi sensata sul perché molte persone avvertono così intensamente il desiderio di “saltare”. Così, mi son messo al lavoro per chiarire l’origine di questa pulsione profonda. In realtà e molto velocemente, sono finito ben oltre i limiti ingenui dell’intento dichiarato. In effetti, potrei dire che ho “saltato” (mannaggia alle battute a ogni costo). Ho comunque cercato di mantenere la mia descrizione entro precisi limiti, contenendo il più possibile la ripetizione di cose già note. So, let’s start.

Evoluzione

Cito direttamente Wikipedia: “In biologia, con il termine evoluzione, si intende il progressivo ed ininterrotto accumularsi di modificazioni successive, fino a manifestare, in un arco di tempo sufficientemente ampio, significativi cambiamenti morfologici, strutturali e funzionali negli organismi viventi”.

Nello specifico, l’uomo discende da alcuni organismi appartenenti alla classe dei mammiferi, nel superordine degli Euarchontoglires, in base a questo bellissimo schema (la versione italiana di Wikipedia presenta uno schema parzialmente incompleto e nemmeno troppo bello da guardare, perciò l’ho rifatto):

genealogia-umana
Figura 1: genealogia dell’uomo

Il modello descrive un processo che evolve in conformità a un algoritmo che potremmo definire greedy (vorace, che permette solo scelte in avanti e irreversibili). Un meccanismo, nel complesso, tanto semplice quanto efficace ma che nasconde, a mio modo di vedere, un’insidia concettuale piuttosto interessante e che potrebbe portarci, se non a comprendere cos’è il salto quantico, almeno a giustificarne un così pressante desiderio da parte di settori sempre più grandi della collettività.

Lo schema proposto rappresenta un intervallo lungo all’incirca ottanta milioni d’anni, forse ottantacinque, un periodo troppo breve, in effetti, se paragonato alla comparsa della vita sulla terra (fra 4,4 e 2,7 miliardi d’anni fa), soprattutto alla luce della domanda che ritengo, ai fini della questione che stiamo trattando, fondamentale: quando è stato il momento nel quale la vita biologica, per sopravvivere, ha cominciato a nutrirsi di altra vita biologica?

Ebbene, secondo le attuali conoscenze, questo è accaduto all’incirca 1,5 miliardi d’anni fa, ossia nel momento nel quale la prima cellula procariota (organismo cellulare povero, se non sguarnito, di compartimentazione cellulare con il materiale genetico sparso nel c. d. nucleoide) si è trasformata in eucariota attraverso un meccanismo detto di endosimbiosi (Serial Endosymbiosis Theory).

La teoria in parola sostiene che, a un certo punto dell’evoluzione, alcuni organismi prendono a ingerire altri organismi ottenendo da ciò un vantaggio evoluzionistico. All’inizio, tra l’altro, entrambi gli organismi sopravvivono, solo che uno dei due lo fa all’interno dell’altro, cedendogli materiale genetico e, di conseguenza, informazioni fondamentali per permettere all’ospite di poter sopravvivere in ambienti nei quali non avrebbe potuto.

Non approfondirò ulteriormente questo tema, in rete potete trovare tutte le informazioni che desiderate. Quel che, invece, m’interessa rimarcare è che, da quel fondamentale passaggio, alcune forme di vita appartenenti al dominio eucariota (in specifico, l’intero regno animale) acquisiscono questo pattern in modo stabile. Al punto che, diverso tempo dopo, nei grandi rettili che dominarono il pianeta, l’evoluzione realizza un vero e proprio cervello dedicato, un centro decisionale (e coscienziale, certo) assai semplice, costruito intorno a due soli comandi: sopravvivere e riprodursi. E siccome l’evoluzione non si ferma (almeno, non dovrebbe), dopo i dinosauri, ecco i mammiferi a sangue caldo, con un nuovo cervello … il secondo, in aggiunta al primo. Un cervello emotivo. E, infine, noi. Esseri umani con un terzo cervello, la favolosa neocorteccia o neopallium. Tre macchine filogeneticamente ordinate e con una gerarchia interna assai solida. Tutto normale? Mmm … no. emotic18

A parte quel che leggerete in seguito, qui mi permetto di segnalare la posizione di Eugene Koonin, biologo statunitense che si muove nel campo della c. d. biologia computazionale. Questo signore, portando l’intera questione nella sfera del calcolo statistico, ha affermato (i suoi colleghi dicono “proposto”) che in tema di “traduzione e/o replica casuale del DNA” e “selezione darwiniana”, le probabilità che tali eventi si verifichino, dato il numero di possibilità fantasticamente piccolo, sono ammissibili solamente nel caso si accetti la teoria del Multiverso. Ricordando che tale teoria ammette l’esistenza di universi paralleli, è chiaro che maggiore sarà il numero degli universi con pianeti idonei a ospitare la vita, più grande sarà la probabilità che almeno in uno di questi avvenga sia la traduzione e/o replica casuale del DNA, sia la selezione darwiniana.

Evoluzione umana

Cos’è l’evoluzione umana? E, soprattutto, dov’è? Qualcuno l’ha vista? Forse, dovremmo mandare una mail alla Sciarelli, magari lei, con i potenti mezzi della RAI, ce la fa a ritrovarla. Ecco, per uscire dalla celia, affermo che durante gli ultimi 35/40 mila anni, ossia dall’istante dell’ingestione delle chiavi biologiche da parte dei primi Sapiens, non c’è stata ombra d’evoluzione umana. E questo, paradossalmente, proprio per la presenza del terzo cervello.

Naturalmente, parlo di evoluzione fisica e mi aspetto l’eccezione riguardante il fatto che “quarantamila anni sono un periodo troppo breve” per qualunque evoluzione. Tuttavia e a mio avviso, una tal eccezione non regge l’evidenza che, almeno in epoca post-diluviana, è stato proprio l’uomo a ribaltare drasticamente i termini del problema svuotando d’ogni significato l’assunto che sta alla base della selezione naturale. L’ha fatto nel momento stesso nel quale ha cominciato a costruire città, strade, ponti, macchine. Queste azioni, apparentemente banali, infatti, hanno invertito la logica in base alla quale l’evoluzione è sempre stata determinata, ossia dalle esigenze di adattamento all’ambiente, negandola di fatto.

In altre parole, l’uomo non può evolvere fisicamente come continuano a fare le altre forme viventi, giacché la sua abilità nel modificare l’ambiente glielo impedisce o, quantomeno, distorce l’evoluzione vanificandola. Questo è un fatto enorme e con una conseguenza molto specifica che potrebbe essere la base vera di questa potente pulsione verso il fantomatico salto quantico.

Mi riferisco al superamento definitivo del Centro Rettile, ossia di quella parte dell’organismo animale che, grazie al feroce stimolo verso la sopravvivenza a qualunque costo, è l’altro, potente motore dell’evoluzione delle diverse specie.

Un motore tanto potente e inarrestabile che, nel “nuovo” scenario disegnato dal neopallium, non potendo più determinare alcuna evoluzione fisica nell’uomo, inevitabilmente diviene forza distruttiva. Il rettile è irragionevole e non conosce limite perché la paura della morte lo ossessiona. Così e in modo sempre più facile (e conseguentemente sempre più distruttivo) grazie alle “nuove” capacità fornite all’organismo dall’acquisizione del terzo cervello, il rettile continua a spingere verso lo sfruttamento delle risorse disponibili e il conseguente accumulo di ricchezze.

Qui, fra l’altro, s’innestano meccanismi psicodinamici ferali. Su tutti, l’inflazione psichica la quale è innescata proprio dal falso sentimento d’onnipotenza che il rettile trae dall’interazione con il centro intellettuale. Ho etichettato come “falso” questo sentimento giacché l’organismo dovrà comunque morire (è a questo punto, infatti, che interviene la pulsione alla riproduzione e che restituisce l’illusione di poter sopravvivere attraverso i propri figli). In ogni caso, tal inflazione non fa che rendere vieppiù distruttiva l’azione del rettile.

C’è, infatti, da considerare che la spinta alla sopravvivenza deriva un’informazione genetica che, con ogni probabilità, s’è composta nell’istante stesso nel quale la prima cellula procariota ha ingerito il primo batterio formando il c.d. LUCA (Last Universal Common Ancestor), in altre parole di un’informazione antica almeno 1,5 miliardi di anni. Lascio alla vostra immaginazione valutare quanto può essere potente una cosa simile e quanto pericolosa, una volta messa nelle condizioni di dominare l’ambiente. Del resto, basta guardarsi intorno. La compulsione all’accumulazione è qualcosa di semplicemente folle, eppure quasi nessuno la percepisce come tale perché ogni singolo essere vivente, in modo del tutto istintivo e “naturale”, adegua il proprio agire al modello di “guadagno/perdita”, ossia allo schema stabilito dal “LUCA” nella notte dei tempi. Ogni singola azione che non soddisfi questa logica è vissuta come inadeguata e pericolosa perché mette a rischio la sopravvivenza. Ciò, inevitabilmente e mercé la commistione con il centro intellettuale che si occupa di puro calcolo, spinge ogni singolo individuo a sfruttare in modo dissennato l’ambiente che lo ospita, condannando l’ecosistema al disastro e, di conseguenza, l’intera umanità all’estinzione.

Tuttavia, non è questo il punto in discorso, bensì la difficoltà psicologica generata da una tale contraddizione, ossia dal fatto che in noi è presente un’informazione che è, nel medesimo tempo, tremendamente potente e altrettanto inutile, anzi e come abbiam visto, distruttiva.

A ben guardare, quindi, è proprio questo il motore che spinge tanti di noi a vagheggiare, spesso in modo ingenuo e fuorviante (basti pensare al movimento vegano), il salto quantico. Come se l’intero organismo umano, definitivamente espunto dal regno animale in seguito alla comparsa del neopallium, fosse alla ricerca affannosa di una soluzione a tale, patente contraddizione interna.

Una precisazione sui vegani. Definisco ingenua l’idea che li spinge per un motivo semplice (già indagato in “Il Senso di Colpa”): la vita biologica, almeno quella del dominio al quale apparteniamo, può esistere solo nutrendosi di altra vita biologica. Si tratta di una scelta compiuta dal nostro antenato comune e alla quale siamo legati inevitabilmente. Che, quindi, si tratti di vita animale o vegetale, non fa alcuna differenza perché, per sopravvivere, dobbiamo comunque sopprimere altre vite.

In sostanza, le chiavi biologiche hanno “spostato” il Sapiens su un piano diverso, del tutto incompatibile con la logica che governa da sempre il mondo animale e il tempo trascorso ha fatto il resto. Sì perché, all’inizio, questa contraddizione, data l’estrema vicinanza all’antico equilibrio, era molto probabilmente inesistente. Anzi, c’è da presumere che per molte migliaia d’anni, di fatto per l’intero periodo antidiluviano, la velocità di progressione del fenomeno abbia conosciuto un incremento davvero minimo per, poi, accelerare con l’inizio della protostoria, prima, e della storia poi.

Un fenomeno che disegna perfettamente l’ampliarsi della consapevolezza umana e che, con il tempo, sembra essersi mosso su una scala logaritmica, ossia con step iniziali infinitesimi che sono aumentati assieme all’incremento temporale.

Potremmo addirittura disegnarne un grafico. In realtà, l’ho già fatto e, a tal proposito, riporto qui un frammento tratto da Keter (il grafico è leggermente modificato rispetto all’originale).

Quel che, infatti, interessa alla Coscienza è arrivare alla “forma uomo”, il “come” è lasciato interamente ai processi meccanici alimentati dall’azione primordiale del Big Bang. Un percorso evolutivo al quale l’uomo conferisce un senso del tutto peculiare e che schematizzo in linea di massima qui sotto. Si tenga conto che questo schema assume come verosimile l’ipotesi di Ryan-Pitman che pensa il diluvio come conseguenza dell’inondazione preistorica del Mar Nero (ipotesi non accettata da tutti ma che potete trovare qui). Sulle ascisse è il grado di sviluppo della Coscienza, sulle ordinate il tempo in migliaia di anni (di conseguenza, l’incremento coscienziale va da sinistra a destra e non dal basso in alto).

grafico-espansione-consapevolezza

Come si vede, nel grafico il punto d’origine dello sviluppo coscienziale non è zero giacché quando i Sapiens entrano in contatto con la psilocibina, in essi è già presente un certo livello di consapevolezza determinato dai miliardi d’anni trascorsi dal Big Bang. Se, quindi, fissiamo il livello al quale è giunta la Coscienza tout court con il solo supporto della materia inanimata e della vita vegetale e animale a uno, sono individuabili altri tre steps i quali, da soli, disegnano quel che potremmo definire il diagramma dello sviluppo della consapevolezza.

Specifico che il riferimento all’ipotesi di Ryan-Pitman come causa probabile del diluvio deriva dal fatto che, avendone visionate diverse, è quella che m’è parsa più plausibile. Ovviamente, non è un dato certo e, di conseguenza, è suscettibile d’essere abbandonato in caso di prove in contrario. Ciò che, a mio parere, è piuttosto certo è l’evento “diluvio universale”.

Il diluvio “resetta” (letteralmente) la fanciullezza dell’umanità, un’infanzia vissuta, questo in ipotesi, in una dimensione profondamente magica e matriarcale. Esistono delle testimonianze archeologiche di una società matriarcale antidiluviana e chi volesse investigarle, può cercare il lavoro di Terence McKenna dal titolo Il nutrimento degli Dei, Ed. Urra 1995. In verità e rispetto alle datazioni proposte da McKenna, il testo è stato superato da scoperte archeologiche successive, spostando la nascita della coscienza da circa dodicimila a circa quarantamila anni fa, ma la sostanza della questione resta invariata.

Specifico che trattare l’intera vicenda umana alla stregua della vita di un cucciolo d’uomo è operazione, oltre che lecita, davvero molto conveniente e questo perché lo schema è conosciuto e le fasi sono invariabilmente: fanciullezza, preadolescenza, adolescenza, età adulta.

In any case, ho affermato che l’infanzia dell’umanità si svolge in una dimensione magica e matriarcale per semplice deduzione logica: in base al mito, infatti, il primo esemplare di Sapiens a ingerire un fungo psilocibinico, è una femmina. È più che evidente che quella stessa femmina, appena uscita dall’esperienza psichedelica, torna dal suo clan per condividere la scoperta e l’istinto gregario le fa portare con sé altri funghi da far mangiare a tutti. Altrettanto evidente è che questo ha un effetto formidabile sul clan e, in specifico, sul destino della sua parte femminile (la quale, da quell’istante, diventerà depositaria dei segreti concernenti la dimensione resa accessibile dalla psilocibina). Come già ampiamente descritto in Keter, lì nasce l’idea di “dio” (e, senza dubbio, anche la figura della sciamana) e, sempre lì, l’umanità esce dal mondo animale e si afferma come elemento nuovo e singolare, fondato, almeno in quel fulgido inizio, sul potere femminile.

Possiamo, quindi, pensare l’umanità antidiluviana come un bambino. Un essere fluido, ingenuo e capace di diventare qualunque cosa poiché del tutto privo di super-io (senza alcuna struttura censoria al suo interno) e con il solo rettile a garantirne la sopravvivenza. Una situazione che, considerato il periodo coperto (circa trentamila anni), potrebbe avere portato i nostri progenitori in luoghi davvero incredibili (parlo di luoghi percettivi, ovviamente) e, probabilmente, davvero spaventosi. Tuttavia, non lo possiamo sapere poiché il diluvio ha spazzato via ogni cosa, resettando quell’esperienza e portando in cattedra la parte maschile. In altre parole, affermando un super-io razziale, ossia un’istanza che ponesse limiti alla libertà percettiva giacché, senza limiti, l’umanità antidiluviana aveva probabilmente sperimentato veri abissi d’iniquità.

A tal proposito, poi, è senz’altro possibile che i sopravvissuti abbiamo vissuto il diluvio come una punizione divina per le atrocità commesse nel passato. È anche ragionevole pensare che, sempre per l’estrema violenza distruttiva del diluvio, vi sia stata una profonda rimozione di quegli eventi. Un vasto trauma che costringe l’uomo bambino a crescere, a farsi domande e a darsi regole. Regole tanto più feroci, quanto più grande e spaventoso è il peso del passato.

Inizia, così, la preadolescenza dell’umanità, un periodo destinato a durare circa 3600 anni, in sostanza, sino alla nascita di Cristo e che comprende l’età del bronzo (3500/1200 a.c.) e quella del ferro (l’intero millennio prima di Cristo). Un periodo caratterizzato da un’estrema durezza morale che, in ogni caso, è stato investigato dalla paleontologia la quale ha rilevato alcuni fenomeni che qui interessano particolarmente, in specifico: l’apparente superamento dei legami “clanici” (relativi al clan), la conseguente comparsa di società organizzate in forme più complesse e raffinate e l’accumulo della ricchezza (soprattutto durante l’età del ferro). Tutti elementi chiaramente legati a un’espansione progressiva (e significativamente più veloce) della consapevolezza globale (o razziale che dir si voglia).

Un’espansione anche più espressiva di ciò che potrebbe apparire all’osservatore ingenuo giacché, sin dal sorgere di questo periodo, il super-io razziale inizia a preparare l’evento che dovrà gestire la fase più delicata dell’intero processo, ossia l’adolescenza dell’umanità; una preparazione lenta e silente dell’evento centrale dell’intero dramma: il sacrificio del “dio” che, nei fatti, si concreterà nella crocefissione di Cristo.

Un tal evento è prefigurato direttamente già dalle vicende di “dei” quali: Tammuz, Osiride e Dioniso e, per altri aspetti, dal dio di nome Mitra, divinità proto-indo-iranica, oggetto di un culto molto antico, signore del bene e nemico del male e figlio di Anahita, immacolata, vergine e madre.

Non citerò oltre poiché, quanto indicato, è traccia più che sufficiente per chi volesse approfondire l’argomento. Il punto è che il mito ha continuato a ripresentarsi nei secoli, magari in forme leggermente diverse ma simili nella sostanza: un dio è sacrificato e questo suo sacrificio lo porta nel regno dei morti dal quale torna cambiato (Tammuz, Osiride). Anzi, il suo sacrificio, in qualche modo, cambia l’intera umanità giacché il dio stesso diviene cibo per gli uomini (Dioniso).

Ora e riguardo alla dimensione razziale, il punto centrale, piaccia o no, è il “sacrificio del dio” perché il fatto curioso, se volete, è che la narrazione reiterata del medesimo mito, alla fine, costruisce una vicenda reale nella quale un “povero cristo” (morirò sparando qualche battuta, sono certo) recita la parte del dio sacrificato.

Vediamola questa crocefissione, fatto tragico e descrivibile in termini strettamente psicologici.

Anni fa, mi trovavo in casa di amici. Ero appena arrivato, la padrona di casa mi aveva accolto e, presa da un impegno improvviso, mi aveva pregato di attenderla nella sala. Ricordo che sopra un mobile nero, laccato, molto elegante, faceva bella mostra di sé un crocefisso d’argento di ottima fattura. Fu lì, osservando quell’oggetto che, per la prima volta, compresi il senso profondo della crocefissione: stavo guardando la Coscienza inchiodata a una croce.

Ricordo che questa consapevolezza mi colpì allo stomaco. Improvvisamente e dopo tanto tempo, non vedevo più un mistero incomprensibile, ma qualcosa di veramente chiaro e trasparente! Quel che stavo guardando era la Coscienza inchiodata a una croce per impedire che, da adolescente problematica e ipercritica qual era, potesse arrecare danni irreparabili. Già, ma a cosa? Al tempo, non disponevo d’energia e lucidità sufficienti per chiudere quel cerchio. Oggi, però, le cose sono diverse.

Se torniamo al diagramma in Figura 2, noteremo che la “vicenda cristica” è l’inizio di un’espansione formidabile della consapevolezza. Ogni adolescente conosce quest’espansione drammatica, questo periodo d’instabilità profonda nel quale il focus è spostato sulle grandi domande esistenziali. Un periodo durante il quale ogni individuo è a rischio giacché il fuoco che all’improvviso erompe dalle profondità dell’essere minaccia seriamente di consumarlo. E questo, in quel tempo lontano, doveva essere evitato accuratamente.

Per questo motivo, è inscenato il dramma della crocefissione: per inchiodare la coscienza al senso di colpa derivante dal fatto di avere messo a morte un “dio” e, attenzione, non prima d’essere stata messa nella condizione di scegliere fra il “dio” e un delinquente comune. L’intero dramma cristico è, sotto questo profilo, una gigantesca e tragica rappresentazione teatrale tesa e mettere nel sacco l’uomo adolescente, un dramma enorme e, nel medesimo tempo, dozzinale, con una sceneggiatura e dei personaggi talmente poco credibili da fare invidia a un reality show. Per citarne alcuni.

Erode Ascalonita, detto Il Grande, spietato e crudele, uno psicopatico paranoico che fece uccidere la moglie e alcuni figli temendo un complotto contro di lui. Per inciso, la famosa “strage degli innocenti” sembra una frottola, tuttavia la caratura del personaggio non cambia per questo dettaglio.

Ponzio Pilato, politico romano. Ho capito che dai politici ci si possono attendere solo fregature ma Pilato pare disegnato su misura per recitare la parte del babbeo di turno. Molliccio, opportunista, del tutto incapace di decisioni serie (non stupisce che l’avessero scaraventato in Palestina).

Giuda Iscariota. Ecco, qui, come autori di sceneggiature da quattro soldi (Boris docet), abbiamo dato il meglio di noi. Una sola domanda per chi legge: che sarebbe accaduto se Giuda avesse deciso di non tradire Cristo? Anzi, due: è credibile un “dio” che giochi l’intero disegno di creazione/salvazione dell’uomo sulla scommessa se Giuda tradirà o no? Fa ridere, sì. A Roma direbbero “fa tajare”. Come tutte le cose, per capirle a fondo basta guardarle per quello che sono e non per come vorremmo che fossero.

Infine, lo stesso Gesù Cristo. Wikipedia insiste sul fatto che oggi vi è una rinnovata fiducia sulla figura storica di Gesù. Io non nutro alcun dubbio, quell’uomo è esistito, ha predicato, ha costituito un gruppo di seguaci ed è stato fatto a pezzi, il tutto per un motivo preciso: concretare (è letterale) il mito preparato da millenni, inchiodando la coscienza adolescente a un legno per impedirle di far danno. Tanto che, con ogni probabilità, quello del sacrificio della divinità è un pattern che ritroveremmo in ogni realtà parallela che avessimo la ventura di visitare.

Il punto è che, per ottenere un simile risultato era assolutamente necessario che il tutto accadesse nello spazio sacro riservato alla divinità, quel medesimo spazio creato dai Sapiens immediatamente dopo aver ingoiato le chiavi biologiche. È nella parte più alta e intoccabile della psiche razziale che il mitologema del “sacrificio del dio” è sorto, costruendo la vicenda in modo lento e inesorabile. Ci sono voluti circa tremila seicento anni ma, alla fine, l’idea s’è fatta carne … e la carne è finita in croce! Impressive. Nell’anno zero della storia dell’uomo, tutto era stato preparato e le coscienze erano pronte per mettere in scena il dramma che avrebbe consentito di centrare il target: inchiodare la coscienza razziale per i successivi duemila anni, in modo da impedirle di impazzire in balìa del bust adolescenziale. E, infatti, la storia che segue è conosciuta e parla, in modo direi compulsivo, di repressione violenta e feroce di qualunque tipo di “fuga in avanti”.

A ben guardare, parla di feroce controllo dell’informazione. E questo non stupisce, giacché l’informazione è consapevolezza.

È molto semplice: quando ci riferiamo a qualcosa etichettandolo come “informazione”, lo facciamo perché quella cosa sta veicolando un pezzo di consapevolezza. Può essere un giornale, un libro, un monumento, una qualunque suppellettile, oppure una persona. In ogni caso, si tratta di un carrier che trasporta e trasmette consapevolezza. Ed è esattamente questo il senso della crocefissione: aver legato la consapevolezza (l’informazione) alla tortura e alla morte. Il che ha reso la circolazione delle informazioni, l’atto eversivo per eccellenza. Per questo, nei duemila anni successivi, hanno massacrato l’informazione (più precisamente, i rispettivi carriers) con una ferocia e una spietatezza senza pari; roghi, torture, violenze, abusi, prevaricazioni, guerre, menzogne, inganni, tutto per impedire (o contenere) la circolazione dell’informazione e, quindi, l’espansione della consapevolezza.

In termini assoluti, un successo fantastico poiché ha impedito che l’umanità bruciasse se stessa anzitempo. In ottica umana, una strada lastricata di sangue e violenza. E tutto questo è stato progettato e realizzato da noi, anzi, da una parte di noi per permettere il compimento di un disegno preciso: trovare una soluzione alla Danza Folle (vedi Keter).

Sotto questo profilo, la vicenda “cristica” si pone in una dimensione di “medio termine” e che potremmo definire strumentale, con il solo scopo di “coprire” un periodo molto delicato di sviluppo della consapevolezza. Un periodo chiuso, direi definitivamente. E lo testimonia l’aumento della velocità alla quale hanno preso a viaggiare le informazioni a principiare dalla rivoluzione industriale, continuando con l’avvento del petrolchimico e, infine, con internet. Accelerazione che sta determinando il crash dell’intero sistema proprio perché la consapevolezza globale ha superato il limite oltre il quale l’inutilità o, peggio, la distruttività del rettile diviene evidente, decretandone la condanna a morte e, di conseguenza, costringendo tutti noi a “andare oltre”, abbandonando il piano fisico. In una parola: a “saltare”.

A questo punto, quindi, mi pare diventi molto evidente il perché così tante persone sono sedotte dall’idea del salto quantico. Perché un salto ci sarà, inevitabilmente, dato che il rettile è arrivato al capolinea e la sua morte comporta l’abbandono del piano fisico. Ovviamente, questo implica che ci saranno moltissime persone che quel salto non riusciranno nemmeno a vederlo. E “moltissime” è un superlativo assoluto. Tuttavia, questo non è per niente importante, ciò che conta è che qualcuno riesca a saltare perché, oltre il piano fisico, il criterio quantitativo diviene del tutto inutile. Ciò che conta è risolvere la Danza Folle e questo, in teoria, potrebbe essere realizzato anche da una sola consapevolezza. Certo, dovessi farcela mi augurerei di non essere solo. In ogni caso, il punto resta risolvere la Danza Folle e chi riesce a saltare è tenuto a provarci.

Per l’eternità, se necessario.

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