La Sindrome ADHD

L’articolo vuole essere un punto di vista diverso riguardo al c.d. Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, solitamente reso dall’acronimo ADHD, ossia quel disturbo caratterizzato da mancanza di capacità attentiva, impulsività e iperattività motoria solitamente osservabile negli individui al di sotto dei 18 anni di età. Per la verità e a fronte del fatto che la ricerca ufficiale non conosce per nulla le cause del disturbo, quella che presento sarebbe, allo stato, l’unica ipotesi di lavoro disponibile.

Sta di fatto che per comprendere a fondo la sindrome ADHD è necessario muovere dalla madre e, in specifico, dalla c.d. depressione post partum (o post natale) la quale, a sua volta, va compresa a fondo poiché è legata al feroce spossessamento subito dalla puerpera a causa del travaglio.

Una donna gravida è soggetta a profondi mutamenti psicologici (insieme a quelli fisici, ovviamente). La femmina, durante questo periodo e ammesso che si tratti di una gravidanza senza complicazioni, rappresenta in pieno l’idea del potere di dare la vita. Il suo corpo cresce, i suo seni si gonfiano ed essa diviene sempre più l’immagine della madre terra datrice di vita. E questo è vero al punto che la sua intera dotazione ormonale subisce mutamenti importanti. Prolattina, progesterone ed estriolo aumentano in modo vertiginoso durante l’intera gravidanza. Ciò accade per dare modo all’endometrio di accumulare grandi quantità di sostanze nutritive e ai seni d’ingrossare.

In prossimità del parto, poi, i nuclei ipotalamici (sopraottico e paraventricolare tramite secrezione da parte della neuroipofisi) aumentano notevolmente la produzione di un ormone peptidico denominato ossitocina (OXT) il quale svolge la sua funzione stimolando la muscolatura liscia dell’utero al fine di sostenere il travaglio. Non solo, l’ossitocina stimola i dotti lattiferi delle mammelle.

Ora, se è noto che questa tempesta ormonale, soprattutto in relazione all’ossitocina, cambia profondamente il brain della femmina (in effetti, quest’ormone è ritenuto l’agente che determina il comportamento materno), è altrettanto vero che la gravidanza non protegge dall’ansia e dai disturbi affettivi. Tuttavia, il discorso che stiamo facendo non riguarda tutte le donne che hanno avuto un figlio, bensì e in ordine alla depressione post partum, un numero che si aggira intorno al 15%.

Nota – Riguardo all’ADHD la percentuale varia a seconda dei criteri adottati. Con riferimento ai criteri forniti dal DSM IV-R (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) gli interessati sono il 6-7% dei soggetti sotto i diciotto anni d’età.

Potremmo, al fine di chiarire l’ambito nel quale ci stiamo muovendo, profilare la donna che rischia una severa depressione post partum definendola un soggetto di media intelligenza, senza particolari problemi d’ansia e non incline alla depressione. Una donna concreta e che, in condizioni normali, sta bene nella sua pelle. Adottando la tipologia PNL, la potremmo definire come un  soggetto prevalentemente cinestesico, connesso fortemente al proprio corpo e propenso ad un linguaggio molto fisico. Infine, una donna che, come inizia la prima gravidanza, sperimenta un benessere e un senso di potenza che mai aveva provato in passato (esistono donne che cercano continuamente la gravidanza proprio e solo per questo motivo).

Arriva, dunque, il tempo del travaglio e questa donna, immediatamente dopo, si ritrova in una situazione profondamente spiazzante nella quale tutto quel meraviglioso benessere, tutta quella pervadente sensazione di potere, semplicemente non esiste più. Nel giro di poche ore, si ritrova svuotata e … inutile. La gravidanza, con la sua tempesta di ormoni sciamanti, l’ha ipnotizzata, portandola a vivere su un piano diverso, sul quale era traboccante di vita e totalmente realizzata. E ora, improvvisamente, quella meravigliosa provvista ormonale non c’è più e ogni attenzione è per la creatura che dorme nella culla. La gravidanza ha deformato il suo corpo e se n’è andata, lasciandola sola. Sola e inutile. Potesse allattare, l’ossitocina la aiuterebbe un po’, ma la montata lattea s’è esaurita nel giro di qualche giorno lasciandola a secco. Lei ci prova ad attaccare il piccolo al seno, ma inutilmente perché lui si stanca e inizia a piangere per la fame.

Quello descritto è un autentico abisso fatto di solitudine e senso d’inutilità nel quale è facilissimo cadere. Una situazione che, tuttavia, per millenni è stata gestita in modo efficace dalla famiglia allargata, ossia dalle altre femmine del clan le quali, da sempre e in modo del tutto istintivo, hanno soccorso la puerpera riempiendo con la loro presenza il vuoto lasciato in lei dal travaglio del parto.

Donne che sostengono altre donne, semplicemente non smettendo mai di parlare. Chiacchiere, pettegolezzi, pezzi di vita vissuta portati dalle comari dentro la stanza della puerpera hanno avuto, per millenni, il solo scopo d’impedirle d’indugiare su quell’abisso di solitudine. Bastano due settimane, il tempo necessario all’oblio di fare il suo lavoro e il gioco è fatto. La donna dimentica quel vuoto e torna a sorridere.

Ebbene, un soccorso rosso che, ormai da diverse decadi, non esiste più perché quel tipo di famiglia ha semplicemente cessato d’esistere, lasciando sempre più donne da sole davanti a quell’abisso. E lì, le scelte sono davvero poche: o scivolare nella depressione più nera, oppure trasformare quell’emozione in rabbia (in effetti, questa scelta non esclude la prima).

Ecco, questo è il vero snodo del nostro problema, l’autentica eziologia della sindrome ADHD.

Qui, gioca il fattore fondamentale costituito dal rapporto madre/figlio, mi riferisco alla simbiosi che esiste fra i due e che trascende la necessita di un linguaggio specifico per veicolare le informazioni. Sto affermando che la comunicazione fra madre e figlio avviene a tempo zero e in modo totalmente emotivo.

Qui, sta il trucco. Una madre furiosa con il mondo e un figlio (o figlia, è indifferente) che diviene perfetto strumento della sua vendetta. Da quel momento in poi, il bimbo diventa distruttivo. In realtà, però, non è lui che agisce, bensì la rabbia materna. In altri termini, quanto accade è la traslazione di un desiderio dalla madre al figlio. Meccanismo che il bambino, dato il rapporto simbiotico fra i due, non può in alcun modo contrastare perché, di fatto, il bambino sta imparando il linguaggio che la madre gli sta comunicando.

Il meccanismo, quindi, s’instaura in concomitanza con la depressione post partum e prosegue sino alla formazione dell’io (intorno ai tre anni). In questo modo, il bambino, anche quando comincia a dividere concettualmente se stesso dal mondo che lo circonda (comincia dire “no”), ha già strutturato un’abitudine profonda rispetto a quel modo di comunicare, ossia all’atteggiamento antisociale che la madre ha indotto in lui. E, infatti, crescerà iperattivo e inattento, in una parola: distruttivo.

La prova definitiva? Sembra che Leon Eisemberg, il teorizzatore della sindrome, prima di morire abbia dichiarato quanto segue:

“L’ADHD è un tipico esempio di malattia fabbricata; la predisposizione genetica è stata sopravvalutata. Gli psichiatri infantili dovrebbero approfondire meglio i motivi che possono portare a problemi psicosociali: I genitori litigano? Vivono insieme? Ci sono problemi in famiglia? Queste domande sono importanti ma richiedono molto tempo – mentre prescrivere una pillola è molto più veloce.”

Che sia vero o meno, si tratta di affermazioni che condivido pienamente. La sindrome ADHD non esiste. Ciò che c’è è solo un bambino manipolato da una madre incazzata con il mondo.

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Una risposta a “La Sindrome ADHD”

  1. E’ vero. Oltre tutto, a far danno, c’è anche la frettolosa equazione secondo cui “incazzato” sarebbe sinonimo di “tosto”. Sempreché “tosto”, senza ulteriori specificazioni, abbia una valenza esclusivamente positiva…
    Certo, per amor di verità, va detto che nella dimensione più tradizionale non c’era solo il bene di quella sorta di “soccorso rosso”. C’era anche tanta pura e semplice invadenza di familiari presunti autorevoli.
    Ciò premesso, per quel che riguarda la specifica prospettiva di questo post, il riferimento al venir meno del suddetto soccorso, ci sta tutto.
    Le donne odierne (ma pure tanti uomini), si sono inoltrate verso un abisso di solitudine per una sorta di reazione abnorme (e dunque per un equivoco) alla scarsa libertà del singolo tipica della secolare fase precedente.
    … e, a fronte, di qualche simbolo esteriore di libertà, in primis quella di forgiare (?) con una certa ybris il proprio destino, hanno svenduto qualsiasi connessione comunitaria.
    E’ la solita oscillazione fra eccessi. Come quella fra visione keynesiana e visione neoliberista.
    Reazioni più equilibrate no, eh?
    Il fatto è che, sui grandi numeri, si seguono mode piuttosto che ponderare personalmente le proprie scelte…

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