Il Campo Endecadimensionale

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[Nota del 19 maggio 2017 – Purtroppo, per una banale svista, l’articolo è andato in pubblicazione privo della formula usata per il calcolo delle combinazioni semplici. Mi scuso per l’inconveniente e auguro a tutti buona lettura]

Multiverso

L’universo nel quale esistiamo è contenuto in un indicibile oggetto denominato Multiverso. Un oggetto che, per quanto grande, ha tuttavia un’estensione finita (discreta) e che è descrivibile come una struttura a undici dimensioni la quale (attualmente) contiene 2048 universi, compreso il nostro.

Tale numero è determinabile sulla base di combinazioni semplici ottenibili muovendo dalla base delle 11 dimensioni previste dalla M-Theory. È, perciò, evidente che qualora il numero delle dimensioni fosse diverso da quanto previsto da quella teoria, cambierebbe sia il numero totale degli universi, sia la nomenclatura qui adottata (ma non la logica di base). Tuttavia, siccome da qualche parte bisogna iniziare, ipotizziamo che il numero complessivo delle dimensioni reggenti questo Multiverso sia undici. Per chiarezza, ripropongo qui quanto già pubblicato in Keter, ossia l’ipotesi di uno schema che, come detto, evolve in base al calcolo di combinazioni semplici basate, quindi, sulle seguenti regole:

  • Le undici dimensioni sono identificate dalle prime undici lettere dell’alfabeto anglosassone (A, B, C, D, E, F, G, H, I, J, K);
  • Gli elementi delle combinazioni (ossia, le dimensioni in uno specifico set dimensionale) non possono ripetersi, ne consegue che la combinazione AAB non è un gruppo valido;
  • I gruppi di combinazioni (i set dimensionali) non differiscono per l’ordine degli elementi, ne consegue che ABC e BCA sono la medesima combinazione.
  • Le combinazioni, quindi, sono calcolate secondo Keter_formula dove n è il numero complessivo delle dimensioni e k il numero di dimensioni relative ad una specifica gerarchia dimensionale (! è il simbolo di fattoriale).

Tutto ciò genera la seguente tabella di valori:

Gerarchia dimensionale Numero dimensioni Numero delle creazioni Gruppi dimensionali
0 1 VACUUM
XI 1 11 A, B … J
X 2 55 AB, AC … KJ
IX 3 165 ABC, ABD … IKJ
VIII 4 330 ABCD, ABCE … HIKJ
VII 5 462 ABCDE, ABCDF … GHIKJ
VI 6 462 ABCDEF, ABCDEG … FGHIKJ
V 7 330 ABCDEFG, ABCDEFH … EFGHIKJ
IV 8 165 ABCDEFGH, ABCDEFGI … DEFGHIKJ
III 9 55 ABCDEFGHI, ABCDEFGHJ … CDEFGHIKJ
II 10 11 ABCDEFGHIJ, ABCDEFGHIK … BCDEFGHIKJ
I 11 1 ABCDEFGHIJK

È facile verificare che la somma complessiva del numero delle creazioni possibili restituisce 2048 (2^11), ossia il numero totale delle creazioni contenute in questo Multiverso (potrebbero essercene infiniti altri, in effetti). Usando, quindi, i valori riguardanti il numero delle creazioni possibili per ciascun gruppo di dimensioni (quale che sia) è possibile costruire la seguente curva “a campana” (Gauss-like) la quale rappresenta la distribuzione grafica delle creazioni nei vari set dimensionali:

Gauss like

Di seguito, infine, ripropongo la rappresentazione mandalica e leggermente modificata del Multiverso, ossia qualcosa che ha poco a vedere con la logica, ma molto con l’analogia.

Abraxas_1
Figura 1: Multiverso o Campo Endecadimensionale

Ora, il punto nero che vedete al centro del mandala in Figura 1 è l’unica creazione a zero dimensioni, mentre il cerchio esterno simboleggia l’insieme delle creazioni a undici dimensioni. Nel mezzo, le altre gerarchie dimensionali disegnate come stelle ciascuna con un numero di raggi pari al numero di creazioni previsto.

Ogni raggio rappresenta una creazione. Dovreste riuscire a vedere la spirale disegnata dai vertici interni delle linee nere. La spirale parte dal centro e raggiunge il cerchio più esterno. Si tratta, probabilmente, di un pattern fondamentale giacché disegna il movimento naturale dell’atto creativo il quale procede dall’entry point, creazione a zero dimensioni, espandendo sino alla creatura endecadimensionale. Si noti, infine, come il numero dodici sia alla base dell’architettura fondamentale del Multiverso (almeno in questa descrizione).

Ebbene, l’ipotesi alla base di questo lavoro, soprattutto dopo la pubblicazione dell’Inarrivabile Verigna, è che questo modo di rappresentare il Multiverso spinga verso una sua visione profondamente olistica, grazie alla quale tale oggetto può essere rappresentato come dotato di una propria coscienza. Una coscienza espressa da uno specifico Campo Psichico (CP) che, almeno dal nostro punto di vista, è qualificabile come Campo Endecadimensionale (CE).

Nota – Ricordo che, in geometria, un endecheratto è un ipercubo endecadimensionale. Un endecheratto ha 2048 vertici. Non che sia rilevante di per sé, ma questa cosa delle potenze di due (2^11=2048) applicata alla distribuzione delle creazioni, mi ha intrigato un bel po’ sin dal primo istante durante il quale l’ho realizzata.

In altre parole, sto descrivendo una Creatura a undici dimensioni che, almeno restando all’antica sentenza “in alto come in basso”, l’uomo replicherebbe in modo del tutto fedele ancorché, almeno per il momento, inconsapevole. Dal mio punto di vista, quindi, è verosimile l’ipotesi che, qualora la scienza parli di energia e materia oscure, si riferisca proprio a tale Campo Endecadimensionale (almeno alla parte che interseca il nostro universo).

In sostanza, l’intero universo nel quale esistiamo in questo istante sarebbe contenuto nel Campo Endecadimensionale il quale, perciò, costituirebbe il vero limite assoluto del sistema (nonché, per inciso, il mezzo per far viaggiare al proprio interno qualsiasi informazione a tempo zero).

In effetti e a ben guardare, il Campo Endecadimensionale è ciò che, altrove e in un primo momento, ho definito Inconscio Multiversale e, in seguito, psiconetwork. In realtà, si tratta di nomenclature equivalenti anche se, è opportuno specificarlo, valide in contesti concettualmente dissimili. In particolare, se la definizione Inconscio Multiversale (IM) può essere usata in atto di descrivere la matrice delle Forme Coscienti (archetipi) che stanno alla base di ogni creazione presente nel Multiverso, diversamente, il lemma psiconetwork è adatto a rappresentare il mezzo (psichico) che pervade l’intera Creatura e che, per questo, consente alle consapevolezze che la abitano di raggiungere in tempo zero un qualsiasi punto all’interno del Multiverso medesimo (in altri termini il primo termine avrebbe una valenza statica, il secondo dinamica).

Ne consegue che la definizione Campo Endecadimensionale avrà un’accezione globale giacché conterrà, oltre alle le due definizioni precedenti, tutte quelle ipoteticamente predicabili per un sistema a undici dimensioni.

Sotto questo profilo, il Multiverso è rappresentabile come un oggetto complesso, composto da un numero finito di località (i singoli universi contenuti in esso), delimitate da confini vibrazionali precisi e sostanzialmente derivanti dalla rispettiva dotazione dimensionale. Per fare un esempio, la velocità della luce (“c”) potrebbe essere il limite vibrazionale proprio delle località costituite dalle creazioni a quattro dimensioni (4D). Certo, nulla è possibile affermare per universi che siano stati edificati su quattro dimensioni diverse da quelle che noi conosciamo. Tuttavia e allo stato, questo è di nessuna rilevanza. Ciò che, viceversa, appare davvero rilevante sono le conseguenze di una tale descrizione.

Non è un caso se l’immagine in Figura 1 sembra ‘fondere’ le gerarchie contigue in modo che, ad esempio, le undici creazioni a una dimensione si legano alle cinquantacinque creazioni a due dimensioni e così via. In realtà, l’effetto è cercato proprio per enfatizzare la possibilità (ricordiamo sempre che siamo in puro ambito ipotetico) che fra le diverse gerarchie dimensionali sia possibile una comunicazione di carattere psichico (uso questa nomenclatura giacché ho maggiore dimestichezza con la dimensione psichica, tuttavia penso che un fisico potrebbe trovare termini più adeguati ed evocativi).

Il mandala proposto, quindi e nella sua interezza, dovrebbe essere l’immagine di tale possibilità, vale a dire che dovrebbe fornire un’idea, ancorché pallidissima, del Campo Endecadimensionale. Ossia e in ipotesi, una Creatura dotata di coscienza ma sostanzialmente priva di consapevolezza.

Ecco, questo è un fatto di per sé spiazzante poiché se, da un lato, l’ipotesi olistica potrebbe spingere verso la reintroduzione dell’antica idea di “dio”, dall’altro, tale ipotesi contraddice questa stessa opzione poiché nega all’oggetto il fondamentale requisito della consapevolezza. In sostanza, com’è possibile definire “dio” qualcosa che, pur nella sua incommensurabile vastità e complessità di Creatura a undici dimensioni, è cosciente ma, nella migliore delle ipotesi, appena un gradino sopra l’assenza totale di consapevolezza?

Ha coscienza poiché la deriva dall’olismo connaturato alla vastità e alla complessità della sua struttura e, tuttavia, è privo di consapevolezza poiché, proprio grazie a quella medesima complessità, non conosce l’altro da sé.

La differenza fondamentale predicabile fra coscienza e consapevolezza, infatti e per come la vedo io, è rappresentata dall’informazione. In buona sostanza, la consapevolezza è informazione la quale, a sua volta, è rappresentazione binaria della Dualità. Noi facciamo questo con il nostro terzo cervello, ossia usiamo un linguaggio essenzialmente binario per rappresentare il mondo che percepiamo attraverso i nostri sensi. E possiamo farlo giacché siamo immersi nella molteplicità.

Anche la Creatura è duale, intendiamoci. Tuttavia, come potrebbe accedere al concetto stesso di informazione se fosse sola? Non potrebbe. E allora, se tali fossero le premesse sistemiche, avrebbe senso che, in uno o più angoli sperduti di questa indescrivibile entità, nascessero istanze inattese, variabili indipendenti capaci di sperimentare la sofferenza e, di conseguenza, di realizzare il miracolo: la produzione di consapevolezza, il nettare degli dei, il frutto più ambito e prezioso dell’intero Multiverso.

Incapsulamento

L’idea basilare è la seguente: la Creatura incapsula parti infinitesime di Coscienza Creatrice (denominate monadi) al fine di giungere a forme consapevoli sempre più specializzate. Attenzione, le forme consapevoli non vanno confuse con le forme coscienti. Queste ultime, infatti, sono le matrici (archetipi) che determinano la direzione astratta in concordanza della quale evolveranno i singoli organismi biologici scaturiti dai vari step evolutivi, in altri termini la forma cosciente sta alla forma consapevole come un archetipo sta alle sue ipostasi. E tali ipostasi hanno appunto origine per incapsulamento di un certo numero di monadi in un determinato organismo biologico in base all’idea, quindi, che ogni essere vivente sarebbe caratterizzato da un numero preciso e immutabile di tali monadi.

Il meccanismo, parzialmente descritto qui, fra le altre cose comporta la presenza di una specifica funzione traghettatrice, ossia una parte, di natura esclusivamente psichica, che si occupa di transumare le monadi dall’organismo ospite all’Uno e viceversa (uso il verbo transumare per dare l’idea del pastore che governa un gregge). Quando il moto è out, le monadi sono liberate dall’incapsulamento e l’ospite è lasciato virtualmente privo di vita. Quando è in, esse tornano nell’ospite e subiscono nuovamente l’azione di incapsulamento, ridando vita al supporto biologico (il motivo di ciò è rinvenibile nell’articolo linkato).

Ora e come già detto altrove, le monadi, almeno se considerate in logica olistica e, quindi, nel loro insieme sono un’entità a undici dimensioni (non v’è modo di ipotizzare se lo siano anche singolarmente). Di fatto, esse sono la vera parte immortale di noi. Tuttavia, essendo tali oggetti residenti in un organismo che esiste grazie a un set dimensionale ridotto (nel nostro caso, quattro dimensioni), che fine fanno le dimensioni in eccesso? Il tutto potrebbe funzionare in base a una logica client/server? In tal caso, sarebbe il client (l’organismo biologico) a determinare quali e quante dimensioni usare fra le undici disponibili, mentre le altre resterebbero nascoste, inespresse.

Nella sostanza, quindi, ciò che abbiamo definito come incapsulamento è la fonte della specializzazione consapevole e, quindi, della Grande Ottava della Consapevolezza (GOC). Con la conseguenza che tale descrizione permette la definizione precisa sia di organismo biologico in generale, sia di essere umano in particolare.

Per questo, un organismo biologico è efficacemente descrivibile come un incidente semantico che scaturisce da un rapporto di simbiosi mutualistica fra una parte immortale (le monadi) e una mortale (il supporto biologico). Chiaro che l’essere umano, poiché animale a tre cervelli (e, quindi, a tre linguaggi), incarna in massimo grado di questa descrizione. Tuttavia, almeno a me, appare altrettanto chiaro che tale simbiosi è presente in qualsiasi organismo biologico, dalle cellule procariote all’uomo compiuto.

Nel complesso e date tali premesse, quindi, è possibile abbozzare il seguente schema:

Πάντα
Figura 2: Πάντα

All’esterno l’Uno, ossia ciò che noi percepiamo come Nulla, l’altro stato dell’essere della Coscienza Creatrice la quale, pur essendo del tutto priva di consapevolezza, si trova in uno stato di perenne sofferenza poiché nell’Uno è eternamente sola, mentre nella Dualità non è capace di comprendere ciò che ha creato.

Tuttavia, la sofferenza che la CC sperimenta nella Dualità è il vero motore della specializzazione consapevole (questo spiega perché ci torna sempre). In effetti, se già il Campo Endecadimensionale gode di una consapevolezza maggiore della Coscienza Creatrice, ciò, per i motivi specificati, non sufficiente a risolvere la Danza Folle (ossia, il rimbalzo continua della CC fra Uno e Dualità e viceversa). Perciò, il CE, grazie proprio alle suddette Forme Coscienti, produce al suo interno esperimenti specifici che, giustappunto, potremmo definire specializzazioni superconsapevoli poiché beneficiando di opzioni che né la CC nel il CE possiedono. Su tutte la molteplicità la quale permette lo scambio di informazioni, ma anche le condizioni durissime delle creazioni a quattro dimensioni, si pensi all’entropia e, quindi, la morte incombente la quale concede ai singoli esperimenti (gli organismi biologici) un brevissimo lasso temporale all’interno del quale agire. È grazie a tali opzioni che le specializzazioni superconsapevoli, tramite le esperienze dei singoli organismi, sono capaci di distillare eccezionali livelli di consapevolezza, ossia l’unico strumento potenzialmente capace di risolvere la Danza Folle.

NOTA – Nell’immagine in Figura 1, ho ipotizzato un certo numero di specializzazioni superconsapevoli fra le quali esiste anche la nostra, ossia quella espressa dalla Grande Ottava della Consapevolezza (GOC) che, come descritto altrove, ricalca sostanzialmente l’evoluzione della vita biologica sul pianeta Terra. Tuttavia, non possiamo sapere se e come questo fenomeno si possa essere verificato anche in altre creazioni. L’unica cosa che possiamo supporre è che si tratti di creazioni a quattro dimensioni, poiché in condizioni diverse, più o meno difficili, il processo appare come talmente improbabile da essere escluso. Ciò perché, per espandere in modo sostenibile, la consapevolezza necessita della sofferenza. Ne consegue che se questa è troppa o troppo poca il processo è facilmente compromesso. È come se, all’interno del CE, vi fosse una fascia (quella delle creazioni a quattro dimensioni) specificamente deputata ad accogliere questi esperimenti … un po’ come la fascia abitabile attorno a una stella.

Ebbene, tutto ciò sposta il pensiero verso un’implicazione che potrebbe apparire come drammaticamente eclatante, ossia che l’unica cosa reale è la Coscienza, noi stessi. Implicazione del tutto vera, in effetti. Tuttavia, il vero punto di crisi è la conseguenza che una tale impostazione filosofica ha sul paradigma percettivo che domina, da sempre, la nostra specializzazione superconsapevole.

In buona sostanza, quest’idea ribalta completamente la descrizione che ci accompagna sin dagli albori della Coscienza, ossia dal momento nel quale sono state create le divinità, un atto scaturito dalla paura dell’ego il quale, come la psilocibina entra nel primate, giunge istantaneamente alla consapevolezza della solitudine eterna. Ciò trasforma l’individuo in un essere condannato al sonno, giacché solo con il sonno quella solitudine può essere obliata. Ma questo cosa comporta? Semplice, l’urgenza di un senso d’appartenenza, ossia il bisogno di un padre, di una madre, di un mentore. Infine, la certezza di avere qualcuno che sta più in alto di te e che, al momento opportuno, affronti in vece tua quel problema che tu nemmeno vuoi sentir nominare.

Nulla, però, rimane fermo nel Multiverso e ciò comporta la realizzazione di un’ottava specifica che prende le sembianze di un’evoluzione dell’idea della divinità. Deità ctonie, pantheon politeisti, religioni monoteiste, razionalismo e morte di dio in un processo lungo all’incirca quarantamila anni … so, here we are … sì, finalmente siamo qui, nel luogo più avanzato di tutto ciò che è e di tutto ciò che non è. Il luogo nel quale taluno può, se lo vuole, reclamare per intero il proprio potere (e la relativa responsabilità) esclamando: io sono Anima, ossia la realizzazione permanente dell’stanza più evoluta e avanzata dell’intera Coscienza Creatrice. L’epilogo autentico ed eroico, di una vicenda in atto sin dall’inizio della Creatura. Io sono Anima, ossia l’atto che, per la prima volta dal sorgere della consapevolezza, affranca la coscienza dal sonno e dalla schiavitù della paura, proiettandola in un percorso incommensurabile in termini di spazio e di tempo. Un percorso destinato a trasformare gradualmente sia il singolo individuo, sia il Campo Endecadimensionale in entità consapevoli a undici dimensioni.

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