Mandela Effect

Premessa

Ho già trattato, ancorché incidentalmente, questo argomento in un articolo precedente. Qui vorrei approfondirne taluni aspetti, ovviamente, su di un piano puramente ipotetico. E inizierei portando un esempio concreto, un fatto realmente accaduto a una persona che conosco e che appare senz’altro riconducibile alla casistica in discorso.

La persona, che chiameremo Amelia, è una giovane donna di grande intelligenza e, cosa che non guasta mai, di bell’aspetto la quale lavora con mansioni di portineria in una struttura amministrativa, in una città del centro Italia. Amelia, fra i suoi compiti, ha quello di compiere, poco prima dell’orario di chiusura, il giro dell’intera struttura per verificare che ogni accesso sia chiuso e che le stanze siano in ordine.

Amelia lavora nella struttura da qualche anno e, per tutto questo tempo, ogni sera s’è recata nello scantinato dello stabile, luogo formato da un corridoio e tre stanze, per sbrigare il solito lavoro. Circa un mese fa, Amelia mi scrive. È agitata perché, mi dice, le è appena accaduta una cosa inspiegabile. Afferma che, poco prima, era scesa nello scantinato per il solito giro. Come sempre, si aspettava di dover controllare tre porte, ma erano solo due. Era scomparsa una stanza.

La cosa è singolare ed io non ho motivi di dubitare di ciò che mi dice. Tuttavia, le suggerisco che forse è il caso di prendere un po’ di tempo, almeno per fare qualche verifica oggettiva. Lei ne conviene e ci aggiorniamo. Il giorno successivo, ci sentiamo al telefono e Amelia mi racconta che, la mattina, era in portineria con Sandra, la donna delle pulizie, e Roberto, il manutentore. Entrambi individui adulti e da anni impiegati nella struttura. Le due donne stanno chiacchierando e Amelia pone a Sandra una domanda, apparentemente casuale. Ecco il dialogo:

Amelia: “Senti Sandra da quanto tempo non scendi nel seminterrato?”

Sandra: “Mah, sarà più di un mese.”

Amelia: “Bene. Voglio farti una domanda, quante stanze ti ricordi che ci sono nel corridoio sulla destra?”

Sandra: “Tre. Due sulla sinistra e una in fondo. Perché?”

Amelia: “Mah … non saprei, anche io avevo questo ricordo però può darsi che sia io che te stiamo vivendo una strana specie di deja vu perché le stanze sono due.”

Sandra: “Sì, due sulla sinistra … e poi una in fondo.”

Amelia: “No, Sandra. Due in tutto. Una sulla sinistra e una in fondo.”

Sandra: “Ma … strano. Sei sicura?”

Amelia: “Sì sono sicura perché l’altro giorno, trovandomi di fronte solo due stanze in tutto, ho avuto questo strano shock visto che anche io mi ricordavo ce ne fossero tre.”

Arriva Roberto, guarda le due donne e Amelia gli rivolge la stessa domanda.

Amelia: “Roberto, quante stanze ci sono giù nel seminterrato?”

Roberto: “due.”

Sandra: “Io me ne ricordo tre.”

Roberto: “No, sono due. Sempre state due!” (ridendo)

Amelia (ridendo): “Eh, certo … una stanza mica può sparire così all’improvviso, sicuramente ci ricordiamo male io e Sandra.”

Sandra: Domani vado a controllare.

Ora, Amelia non ha più chiesto a Sandra l’esito del suo fact checking, preferendo non aumentarne lo sconcerto che aveva notato in occasione del loro scambio verbale. Del resto, nemmeno Sandra ha più detto nulla ad Amelia. Forse non era interessata, oppure ha inteso dimenticare qualcosa che, infine, potrebbe essere stato per lei troppo disturbante.

Fiona Broome ha iniziato a parlare di Mandela Effect nel 2010. La ricercatrice definisce così le situazioni nelle quali qualcuno ha un chiaro ricordo di qualcosa che non è mai successo in questa realtà. Fiona ha raccolto numerose testimonianze in merito e gestisce un progetto estesamente descritto nel suo sito (in lingua inglese). Ebbene, per Fiona Broome le teorie più credibili per spiegare il Mandela Effect sarebbero tre:

  • Siamo in un holodek o sala ologrammi;
  • Stiamo scivolando attraverso realtà diverse (ma non tanto diverse);
  • Alcuni di noi stanno viaggiando nel tempo.

Dirò subito che, qualora il fenomeno fosse reale, propenderei per la seconda ipotesi, anche se dentro uno scenario abbastanza particolare.

Multiversi

Per spiegare la mia teoria, devo muovere dal concetto di Multiverso (chi volesse una descrizione un po’ più formale di questo incredibile oggetto, può trovarla nell’articolo Il Campo Endecadimensionale).

In ambito scientifico, il primo a proporre tale concetto fu Hugh Everett III all’interno della c.d. interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica. Diciamo che il concetto di fondo è semplice poiché descrive il Multiverso come un super-insieme composto da infiniti universi. E sin qui, siamo dentro l’interpretazione a molti mondi dalla quale, però, mi distacco poiché penso che un Multiverso possa contenere solo un numero finito di universi e che tale numero sia determinato dal gruppo di dimensioni possibili dentro quello specifico Multiverso.

Nell’articolo linkato trovate il modo che ho usato per il calcolo degli universi che formano il Multiverso dentro il quale esistiamo. Tale numero è 2048, ossia il risultato del calcolo combinatorio semplice applicato alle undici (11) dimensioni previste dalla M-Theory. Ciò sulla base del principio (ipotetico) che vuole ogni singolo universo appartenente a un Multiverso, caratterizzato da un patrimonio dimensionale unico e irripetibile.

Ciò che rileva è il cambio di prospettiva che una simile architettura induce nella visione generale. In specifico e considerata la quantità discreta (finita) degli universi che compongono i singoli Multiversi, solo questi ultimi sarebbero di numero infinito. Questo è interessante giacché comporta che l’eventuale salto o scivolamento che dir si voglia “fra realtà diverse” dovrebbe necessariamente avvenire fra Multiversi. Se, infatti, i singoli universi che compongono un Multiverso si caratterizzano per l’unicità del patrimonio dimensionale che li esprime, per noi, organismi nati in un universo retto da altezza, larghezza, profondità e tempo, sarà possibile sperimentare solo lo spostamento in un universo con patrimonio dimensionale identico a quello dal quale proveniamo. Ossia, se saltiamo o scivoliamo in un’altra realtà, è necessario che questa sia caratterizzata da quattro dimensioni e, nello specifico, da altezza, larghezza, profondità e tempo (e non ne esistono altre, oltre alla nostra, in questo Multiverso).

In alcuni lavori precedenti (Il Campo Endecadimensionale e L’Inarrivabile Verigna) ho sostenuto l’inevitabilità dello spostamento che, in modo graduale, l’attuale fisica sta operando verso il modello proposto da Bohm e Pribram, ossia quello di un “universo” olografico e, di conseguenza, con caratteristiche olistiche sempre più marcate. Il punto è che una tale visione spinge in modo sempre più forte verso la visione di un Multiverso dotato di coscienza. Cosa della quale io sono profondamente convinto giacché un essere a undici dimensioni non può non possedere il requisito della coscienza di sé anche se ciò non significa che sia, nel medesimo tempo, consapevole.

La consapevolezza è informazione e questa non esiste se l’individuo non ha alcuno di diverso da sé con il quale scambiare informazioni. L’obiezione immediata è che se esistono infiniti Multiversi, questi dovrebbero chiacchierare tantissimo fra loro. Tuttavia, ciò non avviene. Anzi, sembra ci sia un’assoluta incomunicabilità fra questi oggetti. Se così non fosse, infatti, i Multiversi sarebbero consapevoli e, a quel punto, la nostra esistenza diverrebbe tanto inutile quanto ingiustificata. L’ipotesi, quindi, è che l’esperienza multiversale della Coscienza Creatrice sia di tipo autistico. Viceversa, l’esperienza umana della Coscienza Creartice, che avviene su una scala di grandezze incommensurabilmente inferiore, essendo relazionale, rende capaci tali coscienze infinitesime di sviluppare consapevolezza.

Se tutto ciò avesse un senso, quindi, il numero infinito dei Multiversi sarebbe giustificato dall’esigenza di una distribuzione binomiale delle probabilità rispetto alla necessità di risolvere il problema della Danza Folle.

Nota – Da millenni l’Uno è dipinto come il luogo perfetto al quale ambire, in qualche modo. L’intero percorso ascetico, a ogni latitudine, ha perseguito questo. Ebbene, la notizia è che potrebbe non essere così e sulla base di un ragionamento semplice. L’Uno e la Dualità sono degli stati della Coscienza Creatrice (CC). Qual è la differenza fra i due? Nell’Uno, la CC comprende ogni cosa perché non esistono opposti. Nella Dualità, la CC descrive ogni cosa, proprio per la presenza del principio di contraddizione (questo è bello. Perché? Perché quell’altro è brutto). Ora, il problema fondamentale è che nell’Uno la CC è immobile e sola. Non può muoversi perché appena si muove, si lacera (crea un nuovo Multiverso). E, soprattutto, è sola e questa sua solitudine infinita è il vero motore di tutte le creazioni, ossia della Dualità nella quale, tuttavia, la CC non può comprendere ciò che descrive. Questo perché l’oggetto della sua descrizione è sempre una sola parte della cosa che, nell’Uno, era unita. Da qui, nasce il nostro Senso di Colpa. Ci sentiamo in Colpa perché non comprendiamo ciò che descriviamo. Così, la CC continua a oscillare fra questi due stati di coscienza in una movimento senza fine che ho chiamato Danza Folle. Ciò che ho fatto, poi, è stato ipotizzare una soluzione a questo problema. L’ho chiamato Stato Terzo, ossia la realizzazione di un terzo stato di coscienza nel quale tutto è perfettamente comprensibile e, allo stesso tempo, completamente descrivibile.

Lo scenario, dunque, è quello di una serie, probabilmente infinita, di indescrivibili creature, formate ognuna da migliaia di universi (il numero dipende dalla dotazione dimensionale di ciascuna), tutte profondamente autistiche e dentro le quali, tuttavia, può (o non può) sbocciare il frutto supremo bramato dalla Coscienza Creatrice: la consapevolezza (la sola forza che può cercare di risolvere la Danza Folle). Perciò, esattamente al pari dell’Uomo, il Multiverso è un esperimento. Solo che, al contrario del primo, per i Multiversi il criterio è esclusivamente quantitativo, con la conseguenza che può esistere un numero elevatissimo di esperimenti talmente simili da essere quasi uguali. Ed è, appunto, fra questi che alcuni di noi scivolano (o saltano) e i motivi per i quali ciò avviene sono la paura e la sofferenza.

Abbiamo, infatti, presupposto che i Multiversi siano creature autistiche, drammaticamente incapaci di relazioni. Creature che, tuttavia e per volere della Coscienza Creatrice, generano dentro se stesse, istanze consapevoli. Tali istanze siamo noi o altri esseri che, come noi, producono consapevolezza (ricordo che il tipo di consapevolezza prodotta è necessitato dal patrimonio dimensionale di riferimento). Come potrebbe questo non provocare in tali creature paura e sofferenza? In sostanza, che può accadere se qualcuno di noi produce troppa consapevolezza? Semplice, questo provoca la reazione spaventata della Creatura la quale, dinanzi alla sofferenza, fa la cosa più naturale e immediata per qualunque individuo in una situazione simile: si libera del problema, espungendone la fonte. In altre parole, il Multiverso ci spinge fuori da esso. A quel punto, non abbiamo altra possibilità che migrare nella Creatura più vicina … soMandela Effect.

Mandela Effect
Figura 1: Mandela Effect

Lo schema disegna quattro Multiversi attraverso i quali la singola consapevolezza (o il gruppo di consapevolezze) migra a seguito del kick ricevuto nelle terga dalla Creatura dentro la quale risiedeva.

Amelia ha ecceduto nella produzione di consapevolezza e il Multiverso l’ha espunta. Tuttavia, perché Sandra l’ha seguita? Sembrerebbe un effetto di trascinamento, ma da cosa potrebbe essere determinato? Un legame? Un gancio psichico? La comune appartenenza a un’Eggregora potrebbe giustificarlo? In fondo, tutti i dipendenti di quella struttura formano senza dubbio un’Eggregora. Tuttavia, Roberto non ha saltato con le due donne perché quello che interagisce con esse ha una memoria che appartiene al Multiverso attuale.

Nota – Questo, tra l’altro, è un aspetto davvero interessante dell’intera faccenda. Roberto è una persona che le due donne non hanno mai conosciuto prima, eppure condivide quasi tutto con l’individuo che Amelia e Sandra conoscevano nel Multiverso dal quale sono giunte. Questo, a parte il Mandela Effect (che potrebbe restare sconosciuto per sempre), permette una transizione fra le creature senza soluzione di continuità. Probabilmente per millenni ogni glitch di questo tipo è stato trattato con una scrollata di spalle mentre, con internet, la cosa è uscita dalla logica autistica che governa le creature, tanto che adesso qualcuno le ha dato persino un nome.

Infine, quindi, se in ogni caso un’Eggregora può fondare i presupposti del suddetto trascinamento, probabilmente questo ha bisogno di qualcosa in più. Penso a un’affinità più intensa, qualcosa capace di costruire un legame, ancorché non verbalizzato fra due persone.

Ne consegue che se Amelia salta, con essa lo faranno le persone della sua famiglia e, all’interno delle Eggregore nelle quali è coinvolta, gli individui con i quali ha un legame più intenso. In ogni caso, una volta completato il salto, l’uniformità percettiva sarà garantita da un territorio pressoché identico a quello precedente.

Certo, esiste anche la possibilità che Amelia, nel frattempo, sia stata di nuovo espunta e che, magari, invece di shiftare nella creatura successiva, sia tornata in quella precedente … troppo carino ‘sto Mandela Effect 11375497-cartoon-emoticon-yellow-face-pondering-creativity-chewing-on-a-pencil

[Aggiornamento del 10/09/2017]

Avete presente l’inspiegabile scomparsa/ricomparsa di oggetti che praticamente ciascuno di noi ha sperimentato durante la vita? Mi riferisco a oggetti che abbiamo in casa e che usiamo abitualmente, come un tagliaunghie, un cacciavite, una camicia. Oggetti che improvvisamente non troviamo più. Magari li abbiamo appena appoggiati lì, sul mobile in sala, ma quando torniamo per prenderli, quelli sono svaniti.

Poi, forse dopo mesi, accade che li ritroviamo … magari nel medesimo posto dove li avevamo lasciati.

– Giovanni! La mia pinzetta per le sopracciglia, è qui! Ci credi? Era scomparsa e ora è qui!

– Eh, Laura, amore mio, la casa nasconde ma non ruba!

Un pattern talmente comune che a Roma ci hanno costruito un motto specifico: la casa nasconde ma non ruba! I romani sono pragmatici, si sa. Mai e poi mai verrebbe loro in mente la possibilità che Laura e Giovanni saltino fra i Multiversi … nel primo le pinzette esistono, nel secondo no. Nel terzo, sì.

Sì, troppo carino ‘sto Mandela Effect images

 

[Aggiornamento del 29/09/2017]

La coda di quest’articolo sembra, ormai, vivere di vita propria. Allora, una delle osservazioni (in realtà, banale) che può essere mossa all’ipotesi in discorso è la seguente: se Amelia salta dal Multiverso A al Multiverso B, che fine fa la sua copia?

La soluzione più semplce sembrerebbe quella che prevede uno scambio di copie fra i due Multiversi, nel senso che qualora Amelia A migra nel Multiverso B, Amelia B farà il contrario. Tuttavia, questa potrebbe essere vista come una violazione del principio autistico che dovrebbe governare il funzionamento dei Multiversi giacché è evidente che un simile meccanismo potrebbe lavorare solo se entrambe le Creature fossere consenzienti.

Ebbene, penso che la contraddizione potrebbe essere solo apparente e questo sulla scorta del principio (davvero cogente) del primato della Consapevolezza rispetto a qualunque altra istanza presente nei Multiversi.

La Dualità esiste per un solo motivo: risolvere la Danza Folle attraverso l’aumento della Consapevolezza. Inevitabile che le Creature non possano sopprimere la Consapevolezza che cresce al loro interno. La conseguenza, quindi, sarebbe questa soluzione di ripiego. Se volete, il male minore che serve esclusivamente a sollevare il singolo Multiverso da una sofferenza che potrebbe facilmente condurlo all’autodistruzione. In tal modo, la Creatura si sgrava d’una sofferenza troppo pericolosa, salvando la Consapevolezza raggiunta dai singoli individui i quali potranno proseguire il lavoro dentro un territorio praticamente identico.

A questo punto, si potrebbe obbiettare che basterebbero due Multiversi per realizzare uno schema funzionante. Tuttavia, la mia parte romantica preferisce pensare che siano un numero davvero molto grande.

[Seconda Parte …]

***

 

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