Smontare il Mistero della Percezione

Premessa

Il presente articolo costituisce il tentativo di fornire un punto di vista diverso del complesso fenomeno che va sotto il nome di Percezione, nonché un affinamento della descrizione di taluni processi già esposti nell’articolo dal titolo Eros e Thanatos.

La Percezione è un prodigio che ciascun individuo sperimenta in ogni istante di veglia pur restandone, nel medesimo tempo e rispetto ai meccanismi che la governano, del tutto inconsapevole. Ciò accade perché gli individui sono costantemente focalizzati sul cosa stanno percependo, mentre censurano il come. Ho descritto il motivo di un tale comportamento in diversi articoli, tuttavia e a prescindere dai meccanismi sottesi, tutto questo è descrivibile come la conseguenza immediata e diretta di un habitus che dipende in modo preponderante dalla specifica asimmetria di Keter.

Quest’articolo, quindi, tratta di Percezione, proponendone un approccio inconsueto, lontano dai criteri delle neuroscienze. Ciò che farò, piuttosto, sarà cercare di condurre il lettore nel punto nel quale potrebbe divenire auto esplicativo il fatto che Percezione e Processo Creativo (PC) sono la medesima cosa. Non ha, quindi, senso parlare di Percezione separatamente dagli altri due elementi fondamentali del Processo Creativo, ossia Keter e il Punto d’Unione (PU). Di conseguenza, tratteremo l’insieme dinamico di questi tre elementi come un tutto unico e inscindibile.

Architettura

Anzitutto, sgombriamo il campo da qualsiasi suggestione mistica e/o spirituale, ribadendo che sia Keter, sia il PU sono macchine psichiche, nulla più di questo. Si tratta di due dispositivi psichici che svolgono compiti molto precisi: il primo trasforma la Coscienza Creatrice in energia vitale (e viceversa), il secondo determina l’ambito percettivo nel quale dovrà (must) funzionare l’organismo biologico. In altre parole, il PU delimita l’infinito rendendone possibile la descrizione.

Semplificando, quindi, Keter è descrivibile come un motore energetico, mentre il PU come un delimitatore che ha l’unico scopo di circoscrivere l’ambito di utilizzo di quell’energia. In teoria, quindi, sembra lecito descrivere Keter come un autentico server il quale fornisce l’energia vitale a un client rappresentato dal Burattino (v. Anima). Tuttavia, l’energia che transita dal server al client, passa il vaglio di uno specifico filtro il quale la qualifica dimensionalmente.

Si osservi il seguente schema:

Protere Creativo 2
Figura 1: Processo Creativo

Come premesso, il Processo Creativo è un tutto unico e inscindibile. Lo schema proposto, quindi, opera una sostanziale finzione. Tuttavia, si tratta di una finzione imposta dalle esigenze della mente logica la quale ha la necessità profonda di suddividere i fenomeni nelle loro componenti nucleari per poterli comprendere (per chi ne avesse desiderio, questo livello di complicanze gnoseologiche ed epistemologiche è indagato nel divertissement dal titolo Il Mago Oronzo).

Lo schema, quindi, rappresenta il Processo Creativo il quale, com’è evidente, è stato scomposto in un insieme articolato di attività diverse (peraltro, quasi tutte già descritte in Eros e Thanatos). L’elemento in più è il PU il quale introduce condizioni di complessità davvero rilevanti (v. Spostamenti del Punto d’Unione).

Nota – Nello schema, uso il sostantivo claustrum, termine latino traducibile con barriera, qualcosa che limita duramente e che, almeno in teoria, appare del tutto invalicabile. La cosa interessante è che,  all’interno del cervello, esiste una struttura specifica, denominata claustrum, la quale ha talune caratteristiche funzionali atte a rappresentare questo tipo di attività. Recentemente (http://www.nature.com/news/a-giant-neuron-found-wrapped-around-entire-mouse-brain-1.21539), Christof Koch, presidente dell’Allen Institute for Brain Science di Seattle, grazie a una nuova tecnica di ricerca, ha evidenziato l’esistenza (nel cervello dei topi) di tre neuroni d’inusuale lunghezza, al punto da circondare con i propri assoni l’intero brain. Il percorso dei tre neuroni inizia proprio dal claustrum dei roditori e, sulla scorta di questo fatto unitamente ad altre considerazioni che potete trovare nell’articolo linkato, Koch ritiene che questo sia la sede della coscienza nei topi e anche negli esseri umani. Ora, quella di Koch è solo un’ipotesi (accolta, peraltro, con grande scetticismo). Tuttavia, se si considera la posizione del claustrum nell’uomo, il quale separa il lobo dell’insula (neocortex) dalle regioni più profonde (e antiche) del cervello e tenuto conto del fatto che si tratta solo di una suggestione, la somiglianza di tale struttura con ciò che il vecchio nagual chiamava Barriera della Percezione è impressionante.

Ciò che vorrei segnalare, rispetto allo schema proposto in Figura 1, è la posizione del PU la quale, considerato il livello di controllo operato sul flusso creativo, deve porsi a un stadio davvero primitivo. Mi riferisco all’Inconscio Multiversale, ossia la dimora delle Forme Coscienti, un insieme di configurazioni astratte, da Jung denominate archetipi, che determinano in modo assoluto la direzione nella quale la consapevolezza potrà evolvere ( v. articolo linkato).

Ora, pare evidente (almeno a me) che ogni singolo universo che compone il Multiverso nel quale esistiamo, poiché dotato di un patrimonio dimensionale unico e irripetibile, sarà provvisto di Forme Coscienti proprie le quali determineranno in modo cogente le forme consapevoli (organismi biologici) possibili. Per fare un banale esempio, in un universo come il nostro, dotato di tre dimensioni spaziali, è inevitabile che gli organismi più evoluti sviluppino una visione binoculare. Viceversa, non potrebbero percepire la profondità degli oggetti che osservano, ossia non avrebbero alcuna chance di sopravvivenza. Altresì, in un universo privo della dimensione spaziale denominata profondità (ammesso che la vita biologica, lì fosse possibile), le creature avrebbero un occhio solo, giacché il secondo sarebbe del tutto inutile.

Ecco, questo è esattamente ciò che il PU fa: determina il modo con il quale gli organismi biologici percepiscono l’ambiente nel quale vivono e, prima ancora, le forme biologiche che garantiscono una percezione siffatta. In questo senso, il PU delimita il Potere Creativo che, lo ricordo, in uscita da Keter è del tutto privo di limiti. In altre parole, i due draghi (Rosso e Latone) possono diventare qualsiasi cosa e, tuttavia, a seguito dell’intervento del PU prenderanno la forma di un oggetto coerente con il patrimonio dimensionale di riferimento. Sotto questo profilo, il PU è definibile come un delimitatore dimensionale. In altre parole, una macchina, verosimilmente endecadimensionale, capace di rendere il flusso vitale coerente con ogni specifica creazione (chi fosse interessato a un’analisi più specifica del lavoro svolto da questa macchina, basato sul concetto di frequenza, può trovarla qui).

Avrete notato che il frame occupato dall’attività del PU non è qualificato né in senso preverbale, né verbale. In realtà, io non lo so cosa accade lì, di preciso, se non che l’assoluta indeterminatezza del Potere Creativo incontra una prima, ferale delimitazione. Questo, in effetti, potrebbe bastare per predicare una prima verbalizzazione di tale potere. Tuttavia, considerato il profondo mistero che avvolge tale fase, preferisco lasciare la questione in sospeso.

Veniamo, così, alla Percezione. Per scoprire che la finzione adottata con il grafico in Figura 1 smette improvvisamente di finzionare (non vi agitate, è solo una battuta), nel senso che la suddivisione proposta con quello schema si rivela improvvisamente inutile e, di conseguenza, va abbandonata.

Tuttavia, il punto è ambiguo. Ciò che c’è, a valle del PU, è un flusso d’energia vitale fruibile su tre livelli diversi, corrispondenti ai tre cervelli dell’essere umano (rettile, emotivo e intellettuale), i quali creano e ricreano rispettivamente la struttura (a partire dal corpo fisico per estendersi a tutto l’ambiente domestico), i rapporti empatici e le idee. E tutto questo è vissuto dall’Io Osservatore (IO) in modo istantaneo. Al punto che l’unica cosa della quale l’IO è consapevole è l’esperienza sensoriale poiché questa, grazie alla sua immanenza, azzera ogni altra considerazione.

Nota – Il problema della creazione della struttura intesa sia come mondo vegetale o animale, sia come organizzazione umana, si risolve grazie all’attività delle Eggregore. Tuttavia, è discorso che non cade qui di trattare.

Ho un corpo. Il mio corpo è adagiato su una comoda poltrona. Sto scrivendo delle cose, digitando parole su una tastiera e, sul monitor davanti a me, vedo formarsi le frasi che sto pensando. È una magnifica giornata invernale, con una temperatura decisamente sopra la media di stagione e il profumo del caffè sale dalla cucina, tentandomi. Dalla porta-finestra, che ho lasciata aperta, entrano i rumori della vita che scorre. La sirena di un’ambulanza, il rombo dei motori e le voci dei paesani riempiono lo spazio sonoro, mentre la luce di un sole insolitamente brillante accende tutto ciò che colpisce.

Quale motivo avrei per dubitare della realtà di quanto sto vivendo? In effetti, sino a che me ne sto dentro il mio buco (il cervello che ho eletto a mia stabile dimora, fra i tre dei quali dispongo) non ho alcun modo di vedere altro da ciò che percepisco, poiché i miei cinque sensi sono talmente coinvolgenti che ogni istante di vita è riempito dalle loro informazioni. E questo rende semplicemente impossibile che io m’avveda del fatto che il corpo che sto usando, così come la poltrona sulla quale siedo, sono oggetti che io stesso sto ricreando, un istante dopo l’altro.

Ecco, questo è il mistero della Percezione, ossia il prodigio di qualcosa che crea se stesso e, nel medesimo tempo, fa esperienza di se stesso. Ovviamente, questo qualcosa è la Coscienza Creatrice (CC) la quale, in fuga dalla solitudine eterna propria dell’Uno, si tuffa nell’illusione della molteplicità offerta dalla Dualità. E quando lo fa è sovrastata dalla potenza del processo creativo al punto che è incapace di riconoscerlo. In altre parole, questo è propriamente il sonno dei viventi. Uno stato in forza del quale siamo totalmente identificati con ciò che percepiamo, giacché l’immanenza della nostra percezione è saturante in modo assoluto. E questa profonda identificazione c’impedisce di divenire consapevoli del fatto che percepiamo ciò che abbiamo appena (ri)creato. In questo senso, siamo autentici burattini danzanti alla musica che noi stessi produciamo. E più macchine abbiamo, più siamo lontani dal punto nel quale il riconoscimento dell’intera dinamica del Processo Creativo diviene possibile, ossia da ciò che nelle tradizioni mistiche va sotto il nome di risveglio.

Il vecchio nagual voleva significare proprio questo quando affermava che nel vedere “tutto è pieno sino all’orlo”. Una metafora che descrive bene il potere creativo incessante che fluisce dell’individuo durante l’intero periodo di veglia. Una cosa che, però, nessuno riesce a notare. In realtà, il sospetto è che nessuno ci sia ancora riuscito. Ovviamente, è solo un sospetto, ma è confortato dal fatto che, prima d’ora, nessuno ha descritto un percorso verso un risveglio totalmente sganciato dalla spiritualità e, di conseguenza, dall’idea di “dio” (nemmeno Castaneda, considerata l’enfasi riservata nei suoi libri al c. d. Spirito).

Sino a che in noi ci sono macchine (golem) che consumano energia, la manovra che chiamiamo risveglio è possibile solo parzialmente e “dio” è, fra le macchine, un’autentica idrovora. Questo significa che sino a che non deciderete di liberarvene, avrete sempre una parte di voi convinta che “là fuori” ci attende un mondo spirituale nel quale troveremo qualcuno che sta sopra di noi e che ci farà da guida. Non è così. Là fuori non c’è nulla, se non pattume parassita. Cacciatevelo in testa, non esiste nulla di reale né al di fuori di noi né, tantomeno, che si ponga al di sopra della Coscienza, bensì solo virtualità illusoria che non dà risposte e vi condanna al riassorbimento. Infine, tutto ciò che vi è accaduto, vi accade e vi accadrà sarà sempre e solo voluto e agito da voi stessi.

Persino l’Unione può essere attuata solo da voi. La vostra parte animica, infatti, non può farlo. Essa può fare una sola cosa: premere su di voi senza alcuna pietà con l’unico obiettivo di portarvi nel luogo senza sogni. Il luogo nel quale sarete finalmente capaci di smontare il mistero della Percezione in modo da divenire consapevoli che tutto ciò che percepite lo state, nel medesimo tempo, creando. E dovete farlo voi perché nessuno può farlo in vostra vece. Nemmeno leggere queste righe avrà alcun senso se non muterete la direzione della vostra totalità psichica nel verso della distruzione delle vostre macchine.

Smontare il mistero della Percezione

Per farlo è necessario uscire dal proprio buco, ossia dal tipo di linguaggio che, per fatto essenziale ed educativo, abbiamo eletto a strumento principe della descrizione del mondo che ci circonda. Che sia fisico, emotivo o intellettuale, il nostro specifico linguaggio è lo strumento del sonno nel quale versiamo poiché ci impedisce di acquisire un punto di vista realmente terzo rispetto al fenomeno percettivo. Esso, infatti, tratta la percezione nel modo peggiore (o migliore, dipende dai punti di vista), poiché se da un lato la assolutizza, dall’altro la banalizza.

Il vecchio nagual chiamava questa assolutizzazione forza dell’allineamento attribuendola, tuttavia, all’environment nel quale si trova immersa la singola consapevolezza in un dato istante. È la forza che Carlos Castaneda e Carol Tiggs (la donna nagual) sperimentano in occasione dell’agguato ai cacciatori, descritto nel decimo capitolo dell’Arte di Sognare. La medesima forza che inchioda tutti noi al mondo nel quale viviamo ma che Castaneda può riconoscere solamente quando si trova a cavallo fra due mondi. Su quel confine percettivo così drammatico, nel tugurio nel quale gli inorganici li hanno spinti, la donna nagual salva la vita del compagno impedendogli di cadere preda della forza dell’allineamento del mondo che sta oltre la piccola finestra, costringendolo a non guardare nulla, ma a chiudere gli occhi per tornare nel sonno, confidando nel potere dei loro corpi fisici che, addormentati in un luogo non precisato nel Messico centrale, li avrebbero riportati indietro.

Non insisterò oltre sulla descrizione castanediana giacché la ritengo, almeno in parte, fuorviante. L’ho richiamata solo perché è fra le prime a trattare l’atto percettivo in questi termini (gli altri epigoni della faccenda, ovviamente, sono Aldous Huxley e Timothy Leary, ma non ne tratto qui). In sostanza, il tentativo di un approccio (quasi del tutto) non confessionale alla tematica dell’alterazione degli stati di coscienza (in effetti, senza quel tipo di lavoro, probabilmente non sarei mai riuscito a costruire la descrizione che propongo in questo blog).

Any way, ciò che fanno Carlos e Carol nell’agguato ai cacciatori è propriamente smontare il mistero della Percezione. Sul Filo del Rasoio si segue un percorso diverso, tuttavia la dinamica sottesa è la stessa: sganciare l’IO dall’identificazione con gli oggetti che va creando. La differenza esiziale è che se compio questa manovra lasciando inalterato il mio parco golemico (i.e. usando scorciatoie quali le chiavi biologiche o il controllo stregonesco del Dialogo Interno), non appena avrò oltrepassato il claustrum, i miei golem si agganceranno a qualsiasi oggetto si presenti oltre quel confine. Viceversa, se non ho macchine avide di attaccamento, potrò realizzare l’Unione, realizzando il Doppio Immortale. Tuttavia e come descritto altrove, ciò richiede molto tempo e moltissima sofferenza volontaria.

Intendiamoci, anche il Doppio Immortale, al pari di qualunque altro mondo ipotetico, è solo più una scatola destinata a incapsulare una consapevolezza separata. Tuttavia, ha il pregio di consentire a tale consapevolezza separata, se lo ritiene opportuno, di esistere per sempre poiché l’incapsulamento generato funziona a prescindere dall’appartenenza a un qualsiasi Multiverso (il concetto di incapsulamento è descritto nell’articolo Il Campo Endecadimensionale).

In effetti, un Doppio Immortale è molto simile a un Multiverso, solo infinitamente più piccolo e, soprattutto, privo di scadenza. Come tale, quindi, può crescere e spostarsi, sia all’interno di un singolo Multiverso sia, quando questo dovesse cessare d’esistere (Big Rip), migrare in uno diverso (oppure non farlo).

In conclusione, se l’obiettivo è il Doppio Immortale, l’unico modo per ottenerlo è smontare il mistero della Percezione portarndo l’Io Osservatore sul confine percettivo attraverso un Agguato costante e spietato delle proprie emozioni. Questo garantisce una riduzione armoniosa della Falsa Personalità, ossia una diminuzione progressiva dei golem che, per qualsiasi motivo, generano attaccamento e identificazione. Solo a quel punto, nel luogo privo di sogni, il singolo individuo può trovare forza e motivazione sufficienti per smontare il mistero della Percezione e, quindi, eventualmente scegliere di spostarsi in modo permanente nel proprio Doppio Immortale.

emotic03

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