La Bestemmia

Premessa

Deorum iniuriae diis curae (delle ingiurie agli dei si occupino gli dei), così gli antichi romani che della vita avevano compreso un bel po’. Poi, nel 380 d.c., il cristianesimo divenne religione ufficiale dell’impero e la bestemmia divenne un grave reato e, forse, non è un caso che 15 anni dopo, nel 395, alla morte di Teodosio I, lo Stato Romano conobbe la sua fine con la suddivisione in una parte occidentale e una orientale (parte occidentale che, per altro, sopravvive solo sino al 476, quando Odoacre depone Romolo Augusto, l’ultimo imperatore … che dire, ‘sti cattolici so’ proprio ‘na iattura).

Nell’Italia contemporanea, la bestemmia è stata trattata come un reato sino al 1999 (art. 724 c.p.) e, da tale data, è stata depenalizzata tanto che ora è un illecito amministrativo per il quale è commissionata una sanzione da 51 a 309 euro. Tuttavia, l’illecito si verifica solo qualora la bestemmia sia pronunciata in pubblico e contro una qualsiasi divinità (non solo il dio cattolico). Ne consegue che bestemmiare la madonna, i santi o i profeti non comporta alcuna violazione amministrativa (sapevatelo).

Termino qui la parte enciclopedica (Wiki, sul punto, è davvero esaustiva, anche se consiglio vivamente nonciclopedia perché infinitamente più divertente) per addentrarmi nel discorso che davvero m’interessa e che si concreta nella massima (di mio conio):

la bestemmia è diritto inalienabile di ogni individuo.

Una prece per San Germano Mosconi, fondatore dei Mosconiti e andiamo a iniziare.

Perché si bestemmia?

Ve lo dico subito, a me piace molto bestemmiare e, infatti, lo faccio spesso. Sin da ragazzino, devo dire, quando, assieme a un amico, recitavamo interi rosari di improperi contro dio, la madonna e tutti i santi. Cosa che, ovviamente, facevamo in modo tanto spontaneo quanto naïve. E questo, intendo questa inconsapevolezza, almeno per quel che mi riguarda, è proseguita per anni e senza che me ne chiarissi punto il motivo.

Mio padre, da buon veneto, aveva un dio can per ogni occasione, mentre mia madre, di sangue austriaco, non praticava. Le mie zie, sorelle di papà, erano coloratissime. Le ricordo, soprattutto appena prima di pranzo, fare a pezzi con la chiacchiera un parente o un conoscente, il tutto fra un goto de vin e un dio can. Voci squillanti, nonostante il tabagismo. Loro, la bestemmia non si limitavano a profferirla, la cantavano proprio.

È verosimile che, almeno in parte, io abbia appreso lì la nobile arte. Tuttavia, da quando ho iniziato a penetrare il significato profondo della blasfemia, l’idea che si tratti di un retaggio assai più antico s’è fatta sempre più strada in me, sino a divenire una certezza.

In realtà, l’uomo ha bestemmiato sin dall’istante immediatamente successivo all’ingestione delle chiavi biologiche. È in quel drammatico frangente, infatti, che l’uomo crea dio. L’ho già scritto altrove, ma giova qui ripeterlo, giacché si tratta di un meccanismo del tutto peculiare. Quando la psilocibina (o altra sostanza psicoattiva) accende il brain dell’Homo Sapiens, nel primate si cristallizza all’istante un’informazione precisa, ossia d’essere il creatore di tutto quanto lo circonda. Ovviamente, stiamo descrivendo un processo inconscio. Tuttavia, proprio perché nascosto, si tratta di un fattore talmente smisurato e disturbante da essere del tutto inaccettabile per delle scimmie bipedi (non a caso, serviranno quasi quarantamila anni perché una simile enormità possa essere elaborata dalla neocortex e trasformata in informazione binaria).

Quell’informazione, infatti, conduce immediatamente a ridosso di due autentici mostri: il senso di colpa per l’incapacità di comprendere ciò che andiamo ricreando e, soprattutto, l’indescrivibile solitudine della Coscienza Creatrice.

Per questo, l’Homo Sapiens crea dio, per dimenticare quei mostri. E si tratta di un trucco davvero formidabile che l’uomo continuerà a usare sino alla morte di dio che, come sappiamo, avviene per mano del razionalismo.

Dio, quindi, è certamente esistito e, di conseguenza, la bestemmia ha sempre avuto motivazione reale e profonda poiché rivolta verso un oggetto concreto, ancorché virtuale poiché creato da noi. In sostanza, la bestemmia è stata (e, in virtù dell’inerzia che un oggetto tanto enorme possiede, continua a essere) la verbalizzazione violenta del senso di frustrazione che l’uomo trae dalla posizione che occupa nel Multiverso, ossia quella di Burattino della propria Parte Immortale (v. Il Doppio Mnestico).

La nostra Parte Immortale, in realtà, non è affatto nostra. Può diventarlo, ma solo a patto che riusciamo a conquistarla. E questo si fa attraverso un processo di sofferenza volontaria. Tuttavia, a prescindere da questo specifico aspetto che riguarda necessariamente un numero limitato di individui, ciò che è comune a tutti, senza distinzione, è la sofferenza del vivere, ossia l’unico mezzo capace d’incrementare la sola cosa che interessa la Parte Immortale: la consapevolezza.

Son concetti che ho già espresso, ma il problema, riguardo alla bestemmia in particolare e alla blasfemia in generale, sta tutto nella dimensione asfittica dentro la quale si muove il Burattino. Una dimensione dalla quale è possibile uscire solo facendo la scelta di vincere la paura di ciò che siamo in realtà. Scelta che, nella stragrande maggioranza delle persone, è del tutto impensabile giacché l’Ego semplicemente non la permette.

La bestemmia, quindi, è espressione diretta della disperazione egoica. L’Ego sa di dover morire, anche se non lo vuole ammettere. Nel medesimo tempo, però, non ha alcuna intenzione di mollare la presa che esercita costantemente sull’Io Osservatore. Inevitabile un lacerante conflitto interiore il quale, molto facilmente, prende la via dell’imprecazione contro quell’oggetto che se è servito egregiamente a dimenticare chi siamo, non è di alcuna utilità per risolvere il problema della morte dell’organismo biologico.

Ovviamente, il meccanismo conosce una graduazione importante, determinata da quanto, in modo nativo, ogni singola individualità appaia scudata rispetto alla paura della propria morte. A questo proposito, esistono persone sinceramente felici dell’esistenza che conducono e spesso questo tratto è legato a una religiosità molto pronunciata, a un autentico timor di dio. Tuttavia, né mio padre, né le sue sorelle facevano parte di tale rappresentanza. Sì, nemmeno il sottoscritto.

Any way, ecco il motivo per il quale sostengo che la bestemmia è diritto inalienabile di ciascuno. Perché essa è pura espressione di disperazione egoica, l’urlo di dolore di un individuo (l’Ego, in prospettiva olistica, è tale) che non ha alcuna possibilità di sfuggire alla propria morte.

È come l’ultimo desiderio del condannato al patibolo. Impossibile negarglielo.

 

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