Karma – Il Tocco del Vuoto

Dite che, prima o poi, ci sarei dovuto arrivare? In effetti, sì. Era solo questione di tempo, forse un po’ troppo, ma il Karma è uno di quegli argomenti, per definizione, assai difficili. Ciò a dire che, soprattutto in ambito razionalista, l’idea del Karma induce talmente tanta paura e imbarazzo che i più l’ignorano e, se proprio sono chiamati a esprimersi in merito, lo fanno mal volentieri. In effetti, imbarazzo e paura sono immediatamente evocati sia dalla sofferenza che attraversa l’umano vivere sia, soprattutto, dal drammatico senso d’ingiustizia che coglie ciascuno di noi qualora si confronti con la morte o la deformità fisica o mentale, soprattutto neonatale.

Bambini morti piuttosto che nati deformi o preda della follia (o entrambe le cose), aspetti della vita che non vorremmo vedere mai, ma che esistono e fanno impallidire dalla vergogna tutte (tutte) le nostre costruzioni mentali. Veder morire un bambino o, peggio, vederlo nascere già privato di qualsiasi opportunità perché affetto da malformazioni per le quali non esiste cura o rimedio, credo sia per chiunque una prova atroce. Una realtà che, se non ci riguarda direttamente, preferiamo ignorare perché mette in discussione la stessa idea di giustizia, ossia di quell’ordine virtuoso dei rapporti umani che dovrebbe reggere l’universo ma che viene atrocemente sconfessata dalla sofferenza delle creature innocenti. Al punto che, per difenderci, diamo vita a un pensiero: forse che … tanto innocenti non sono?

Ecco, al livello più ingenuo di speculazione possibile, il Karma nasce così, come unica possibilità di conferire un senso a ciò che sembra esserne privo. E, ovviamente, nasce in Oriente poiché, date le premesse, se in ambito cristiano appare una scelta improbabile, in casa razionalista è semplicemente impensabile.

In verità, nel cristianismo non mancano riferimenti biblici che avrebbero potuto giustificare una tale scelta. Si consideri Esodo 20, 5:

[Trad. C.E.I.] – Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano …

Mi valgo della traduzione usuale anche se, unitamente a Mauro Biglino (che non sarà mai ringraziato abbastanza per lo splendido lavoro che sta facendo), la ritengo sbagliata (nel senso bigliniano che la bibbia non parla di “dio”). Tuttavia e in questa sede, ciò che m’interessa è l’approccio che alcune filosofie, fra le quali stanno certamente le varie religioni “rivelate”, hanno avuto rispetto alla tematica del Karma in particolare, nonché della reincarnazione in generale. Di conseguenza, mi rifaccio alla tradizione poiché lì si trovano le evidenze semantiche che hanno giustificato le scelte operate nel passato.

Nota – Il lemma cristianismo è usato qui in senso polemico. Lo specifico poiché non vorrei ingenerare nel lettore l’errata convinzione che chi scrive sia un cristiano fondamentalista che usa questo termine per contrapporlo all’islamismo al fine di “salvare” la cultura occidentale. Ho adottato questa scelta per ricondurre la religione cristiana dentro i limiti nevrotici che le competono e che sono schematizzati dal suffisso –ismo in luogo di –esimo, ma anche questo è un discorso che non cade qui di approfondire.

A prescindere, quindi, da ciò che possano affermare i biblisti, a me pare evidente che in Esodo 20, 5 il concetto di Karma esista eccome, essendo anche assai caratterizzato, giacché circoscritto alla discendenza diretta. Certo, il meccanismo non è descritto in modo esplicito, tuttavia pare evidente che Yahweh ne faccia una questione generazionale e, a prescindere dall’indeterminatezza con la quale è posto, questo fatto s’inserisce bene nella descrizione karmica poiché, in generale, il Karma comporta necessariamente l’idea della trasmigrazione di una parte immortale attraverso diverse esistenze biologiche vuoi come reincarnazione tout court (trasmigrazione in altro essere umano), vuoi come metempsicosi (reincarnazione in un qualsiasi altro organismo biologico). E questo, nella sostanza, comporta che qualcosa del vecchio essere umano resta e può, di conseguenza, divenire centro d’imputazione di determinati interessi, quali che siano, nell’esistenza successiva.

Il Karma, dunque e come qualsiasi altra cosa, è una descrizione. Una descrizione alla quale una parte dell’umanità arriva per tacitare il senso di colpa. Se, infatti, tutto ciò che esiste è una nostra creazione (e una parte di noi sa che è così), lo è anche il male che condisce l’esistenza. E lo è soprattutto quando appare del tutto ingiustificato poiché non descrivibile come retribuzione punitiva rispetto alla scelta di un adulto (quanto libera, è tutto da vedere) di agire in danno altrui. E ciò proprio a motivo del fatto che il Karma trascende la singola esistenza, estendendosi su più vite. Questo è il gancio con Esodo 20, 5 il quale, come s’è visto, sembra circoscrivere il fenomeno (ammesso che di fenomeno si tratti) a una dimensione generazionale. In effetti, a ben guardare, soprattutto a mente dell’enorme peso costituito dal codice genetico ereditato che si manifesta in ciascuno di noi in termini di comportamenti predeterminati, questo sembrerebbe avere molto senso.

Del resto, si tratta di una tematica davvero immanente e che, di conseguenza, appare imprescindibile per qualunque livello di speculazione.

Avevo cennato molto brevemente all’argomento nell’articolo Eros e Thanatos, ricordando l’affermazione del Vecchio Nagual sulla natura prevalentemente femminile dell’universo. Affermazione vera perché, considerato il livello di progressione entropica proprio dei sistemi fisici (v. Apocalypse), l’imperativo è conservare la vita e questo può essere fatto solo dal drago bianco, anche se il prezzo è inevitabilmente il proliferare della menzogna e, di conseguenza, del debito accumulato nel tempo.

In buona sostanza, nel frammento ho legato il concetto di Karma a quello di progressione entropica e la cosa va chiarita meglio. In effetti, come sa chi mi legge, ho ipotizzato l’esistenza di un piano psicoentropico, accanto a quello entropico propriamente detto e riferito ai sistemi fisici. Il meccanismo della psicoentropia è il medesimo dell’entropia fisica, entrambi i parametri sono inversamente proporzionali alla capacità del sistema di riferimento di produrre lavoro: quello fisico aumenta con il decrescere dell’energia disponibile, mentre quello psichico incrementa con  il decremento della capacità di relazione.

In Apocalypse descrivo il modo con il quale Latone gestisce la menzogna come mezzo per mantenere il più basso livello di psicoentropia. Cercherò, quindi, di non ripetere pedissequamente il discorso già fatto nell’articolo linkato. Tuttavia, devo tornarci poiché il Karma è diretta espressione anche di tale meccanismo.

Karma
Figura 1: Schema di Relazione

Lo schema in Figura 1 rappresenta uno schema di Relazione ed espone una serie di elementi. Vediamoli partitamente.

Parte Immortale (Forza Attiva)

Ricordo che tale parte ha una struttura a grappolo giacché formata da un numero costante di monadi (v. Teologia della Liberazione). Tale struttura, per realizzare una distribuzione binomiale delle probabilità di riassemblamento monadico (al fine di estendere al massimo e in senso temporale la vita sulla terra), sin dall’inizio e a ogni singola rinascita è ricombinata in modo tale che le monadi già state insieme in una precedente Parte Immortale non possano tornare a unirsi. Tuttavia e proprio per l’effetto psicoentropico, le continue rinascite e le successive esperienze di vita, hanno inevitabilmente costruito legami definitivi fra alcune di esse. All’inizio pochissime e, di seguito, sempre di più sino al punto nel quale gruppi persistenti di monadi hanno iniziato a comparire. E questo ha determinato la nascita di individui con un nucleo monadico rilevante e, di conseguenza, sempre meno ingenui rispetto alla reale natura dell’esistenza, nonché caratterizzati in senso sempre più marcatamente deterministico (così, in effetti, nasce e cresce la Grande Ottava della Consapevolezza – GOC).

Ciò è potuto accadere perché le monadi che hanno tra esse strutturato tali legami definitivi, si sono firmate vicendevolmente al punto che, in occasione della chiamata (concepimento, quale che sia l’essere concepito), la prima che si muove trascina con sé anche tutte quelle che portano la medesima firma.

Nota – In relazione al tema trattato, la Parte Immortale dovrebbe essere pensata unica per ciascun Burattino. In realtà, sembra che spesso una singola Parte Immortale supporti più Burattini. Meno sensato, se volete, potrebbe apparire il fatto che costoro si relazionino fra loro stessi visto che se, in ipotesi, tutti dovesse riuscire a giungere prossimi all’Unione, in teoria solo uno potrà realizzarla. Tuttavia, il senso esiste, ma non ne tratto qua (anche se ricorda parecchio la saga di Highlander).

Burattino (Forza Passiva)

Come descritto altrove (Anima), i Burattini siamo noi. Esseri mortali, esperimenti per definizione impermanenti, ogni volta diversi poiché frutto di assemblamenti accidentali del parco monadico che la Coscienza Creatrice mette in atto al fine di trovare una soluzione alla Danza Folle. Il fatto è che, nonostante le differenze che ci caratterizzano, a volte profonde, altre assai sottili, manifestiamo taluni aspetti di funzionamento che sono i medesimi per tutti (ovviamente parliamo di individui normoformati).

Per quel che qui rileva, tali aspetti sono riuniti nei cinque blocchi logici che il Burattino usa per la propria vita di relazione:

  • L’Io Osservatore (IO) – Si tratta dell’interfaccia deputata a raccogliere l’input sensoriale e a trasmettere i relativi feedback. È costituita da tutti i nostri sensi (compreso il sesto).
  • Golem Di Relazione (GDR) – Si tratta del gruppo di Golem che ciascuno di noi crea quando nasce una Relazione. Tale Golem può essere molto semplice oppure assai complesso, dipende dal numero di neuroni coinvolti ma, quale che sia la sua struttura, avrà come unico obbiettivo la Relazione in essere (taluni golem gestiscono il capitolo Relazioni in modo sganciato dall’altro soggetto, questo è un behaviour interessante e rilevabile soprattutto nelle dispatie, ma non solo). Attenzione, poiché per Relazione s’intende un rapporto che può essere indifferentemente d’amore, di amicizia, di sesso, d’odio intenso o anche di ostentata indifferenza. Ciò che conta è il gancio emotivo che s’instaura fra due o più persone perché, a prescindere dall’emozione in gioco, il meccanismo agito è sempre lo stesso.
  • Il Senso Di Colpa (SDC) – È caratteristica costante, preesistente e ineliminabile in ciascun essere umano e generata in modo esclusivo dal fatto, vissuto come una colpa lacerante, che l’uomo non comprende ciò che va descrivendo. Poi, siccome ciascuno di noi è atrocemente impegnato a dimenticare chi è in realtà, la gestione quotidiana del SDC avviene con l’aggancio immediato e naturale alle proprie storie di vita. Tuttavia, si tratta solo di un banale trucco per mantenere l’IO ben lontano dalla reale consapevolezza di sé. Attenzione poiché gli individui attuano strategie diverse rispetto alla gestione del SDC. Si va, ad esempio, dai casi di Depressione Maggiore dove il SDC è un peso insostenibile che può portare al suicidio, sino alle psicopatie nelle quali è totalmente censurato e che possono portare all’omicidio. In mezzo, tutto lo spettro delle diverse nevrosi che condiscono la vita di ciascuno e che sono altrettanti, anche se in misura diversa, motori di Karma.
  • K – Presenza interferente, creata nei primati dalle chiavi biologiche con il compito specifico di assicurare il livello di sofferenza necessario per la distillazione della consapevolezza (v. K e Intervista a K).
  • Il Doppio Mnestico – È la sede della memoria, il luogo dove ogni autentica esperienza di vita è scritta divenendo, per questo, consapevolezza. Ossia quello che, nella stragrande maggioranza dei casi, diverrà il cibo della nostra Parte Immortale. Infine e fra le altre cose, l’autentico carburante karmico.

Relazione (Forza Neutralizzante)

La Relazione si svolge nel Vuoto perché solo la Parte Immortale è reale. Tutto il resto, a partire dal Burattino, è pura virtualità che si muove in uno spazio quantistico, tentando disperatamente di dare un senso al Vuoto che lo compenetra.

Il punto è centrale perché sulla questione del Vuoto qualunque tipo di speculazione va inevitabilmente a sbattere. La conseguenza è che, paradossalmente, qualsiasi descrizione ha la medesima attendibilità di un’altra che, magari, la neghi. Si consideri, ad esempio, che le attuali teorie quantistiche tendono a negare l’esistenza del Vuoto.

Tuttavia, per quel che vale qui, il concetto di Vuoto è assunto come parte integrante della virtualità. In sostanza e come già descritto altrove, è data l’esistenza di due stati fondamentali della Coscienza Creatrice: l’Uno e la Dualità. Nel primo gli opposti sono uniti e il risultato è ciò che noi percepiamo come Vuoto (Assenza, Vacuum, Nulla), nel secondo sono divisi e si tratta di quanto percepiamo come Pieno (Presenza).

Un oggetto fisico, quindi (dai quark ai buchi neri, passando per i nostri corpi fisici), non è mai reale, bensì sempre e solo virtuale. In altri termini, si tratta di un oggetto duale, ossia che espone contemporaneamente due facce: una Presenza e un’Assenza. Di conseguenza, ogni oggetto (i. e. ogni individuo) è definito come un Costrutto Quantistico (CQ), ossia come il risultato (illusorio) della frequenza con la quale la parte presente e la parte assente dell’oggetto stesso di avvicendano nel tempo (il tempo di Planck: 5,391 × 10−44 sec.).

Ne consegue che nella descrizione che propongo, il Burattino è definito come Costrutto Quantistico, ossia un insieme di infinitesime Presenze e Assenze che, grazie alla tremenda frequenza alla quale vibrano occupando alternativamente il medesimo spazio-tempo, trasmetteno all’Io Osservatore una formidabile (quanto illusoria) sensazione di solidità.

Drammatica conseguenza di questo meccanismo è che un CQ è Vero e Falso nel medesimo tempo. Non solo, un CQ trasmette in modo costante all’IO tale informazione la quale, agganciandosi immediatamente al primigenio SDC, restituisce (sempre all’IO) la profonda impressione d’inadeguatezza che condisce la vita di ciascuno di noi.

La Relazione, quindi, è un rapporto fra terminali virtuali. Ossia, un rapporto fra i Costrutti Quantistici delle rispettive parti reali (le Parti Immortali). Ecco perché, almeno nella sua accezione di base, la vita è una fregatura cosmica: perché, siccome Burattini, siamo illusori, incidentali e indefinitamente intercambiabili, giacché le nostre Parti Immortali non ci amano per un cazzo.emotic02

La Danza Del Vuoto
Figura 2: La Relazione o Danza nel Vuoto (Mario e Netta)

Il Tocco del Vuoto è feroce, spietato, mortale. Eppure, dal CQ è continuamente cercato perché è l’unico modo che il singolo individuo ha per ricordare chi è, da dove proviene e perché è qui. La contraddizione sta nel fatto che nessun CQ (per motivi già detti altrove) intende ricordarlo mai, per questo sceglie di vivere nell’oblio di se stesso, tuttavia senza rinunciare alla ricerca del brivido che il Vuoto gli concede sempre poiché è con esso 5,391 × 10-44 secondi … così come il Pieno. Siccome, poi, il Vuoto è disperazione, mentre il Pieno è gioia, non esiste niente che terrorizza e, nel medesimo tempo, affascina più del Tocco del Vuoto il quale genera la Danza. E non esiste alcun orgasmo senza la Danza del Vuoto. E Non esiste sofferenza senza di essa. Questo perché la gioia che perdura, molto facilmente diventa noia. Viceversa, la sua perdita genera sgomento.

Così, l’antico Solve et Coagula riempie di senso la vita degli esseri. Con la continua, implacabile frizione scaturente dalla Danza del Vuoto e del Pieno.

Così, il CQ è sintesi costante di questo conflitto ingestibile, semplicemente perché troppo veloce. E, siccome sintesi, si convince di possedere realtà, al punto che con due mani prende tutto ciò che può, cercando di restituire il meno possibile … perché non può correre il rischio di perderci. È furbo il CQ! Il Vuoto, tuttavia, da infinito e indifferenziato, non si oppone in nessun caso a questo gioco che, per quanto squallido, violento o folle possa divenire, avrà ogni debito ripagato proprio grazie al Karma. E questo perché il Karma è il frutto necessario della disperazione/esaltazione che deriviamo dalla Danza del Vuoto e del Pieno. È il furto, l’insulto, l’inganno, l’umiliazione, l’abbandono, lo stupro, la tortura, l’uccisione. Sì, perché ogniqualvolta il Tocco del Vuoto ci sfiora, in noi divampano i due demoni: il primo cerca l’orgasmo, il secondo cerca la redenzione. Entrambi i demoni sono generati dalla colpa che è con noi sin dall’inizio e che non ci lascia mai.

Se il Vuoto non fosse tale, noi tutti pagheremmo immediatamente ogni singolo istante di vita. Il suo tocco sarebbe letale e le nostre vite durerebbero il tempo di un battito di ciglia.

Invece, sul Vuoto, nel Vuoto, disperatamente giocano i frammenti di Coscienza Creatrice che abbiamo chiamato Parti Immortali. Infinitesime frazioni di reale, prive della modalità dell’essere e che danzano grazie all’irrealtà dei loro Burattini (che quella modalità, invece, posseggono perché esposti alla Danza del Vuoto e del Pieno). Esattrici del Karma, nelle monadi il debito che travalica le vite è scritto e onorato nel qui e ora, poiché dove esse sono, il tempo non esiste.

Tuttavia, tornando nel vortice della virtualità, le storie avide di tempo dei nuovi Burattini riprendono la logica sordida imposta dalle cause e dagli effetti che, come mostri cangianti fatti di Vuoto e di Pieno, ridono insensatamente per la smisurata durata del Tempo di Planck. Il medesimo tempo che l’acciaio mette a penetrare la carne e le ossa, prima di arrivare al cuore. Lo stesso tempo richiesto a una vagina per dilatarsi e far uscire la testa della piccola creatura. O, ancora, il tempo consumato dallo stantuffo di una siringa che spinge brown sugar nelle vena di un tossico. O la luce ad attraversare la Via Lattea. O il tempo che un padre mette a dire ti amo al figlio che lo guarda adorante.

Debiti, cose che vengono da lontano che ci spingono in angoli neri e lucenti, senza che capiamo il perché. Eppure, il perché è lì, proprio dietro noi, stipato nel Gregge Monadico che non smette mai di osservarci. Sì, perché quei debiti devono essere agiti qui, dentro la Danza del Vuoto e del Pieno, l’unico luogo che pur essendo irreale è capace di produrre realtà.

Così, Mario colpisce Netta perché pensa d’essere stato tradito. E Netta soffre e sanguina e muore. E quel debito è scritto nelle monadi nascoste che tornano. Netta non esiste più, non esisterà mai più. Un altro Burattino esiste. Adesso è un uomo adulto e sta camminando, incurante per le vie di una città, in un mercato dove incontra un mendicante e alcune donne con dei bambini. È attratto dai bambini, soprattutto da un piccolo maschio che vede giocare solo. Lo lambisce, lo irretisce, lo porta con sé in un luogo appartato. Lì, dopo averlo stuprato, lo strangola e fugge. Un debito saldato o solo l’ennesimo atto folle? Solo la Parte Reale sa, ma non dirà mai nulla. Ci penserà la Danza del Vuoto e del Pieno a pareggiare ogni conto.

 

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