TrogoAutoEgoCrat

Trogoautoegocrat

Su una scala da uno a dieci, quanto può essere difficile spiegare all’Ego la sua stessa struttura? 10.

In termini percentuali, quante sono le probabilità che, leggendo queste righe, l’Ego si renda conto d’essere nulla più di una macchina biologica destinata a morire? 100%. In effetti, le due affermazioni potrebbero apparire contraddittorie. Tuttavia, non lo sono.

Purtroppo, il mio Ego mi ha impedito di trasferire in una tabella l’esito dei numerosi tentativi che ho cercato di mettere in atto, durante gli ultimi trent’anni, rispetto a tali evidenze. Perciò, non ho un bel grafico da mostrarvi e, date le premesse e tenendo conto del fatto che sto parlando al vostro Ego, capirete quanto poco mi aspetti di poter incidere, anche minimamente, sulla sua granitica convinzione d’essere unico, insostituibile, immortale.

Il fatto è che, soprattutto grazie alla rete, a far data dal 1994 ho avuto l’occasione di parlare della struttura egoica con numerose persone. Sto riferendo di incontri avvenuti fra sconosciuti poiché, almeno sino al 2004, nessuno che frequentasse una chatline avrebbe mai usato il proprio nome e cognome. Ciò che si sapeva dell’altro, oltre al nickname, era solamente quel che costui intendeva far sapere e, spesso e volentieri, quel poco che trapelava era autentico come una banconota da tre euro.

Tuttavia, l’alone di mistero del quale si circondavano gli internettiani a me andava benissimo giacché, già da tempo, avevo deciso che uno stretto anonimato, data la pericolosità delle cose che andavo dicendo e scrivendo, sarebbe stato l’abito perfetto da vestire. In effetti, non mi sono mai pentito di tale scelta poiché, con il passare degli anni, ciò che divenne sempre più evidente fu che l’anonimato mi proteggeva proprio e solo dall’Ego delle persone con le quali interagivo.

Arriviamo, così, alla soluzione dell’apparente contraddizione iniziale. È solo apparente giacché quando parli con l’Ego, hai a che fare con una rigidissima struttura di controllo della quale, peraltro, s’è detto più volte negli articoli pubblicati su questo blog. Mi riferisco al controllo che il Centro Rettile (CR) svolge su qualsiasi tipo di informazione in entrata (input) allo scopo di verificare se questa violi o meno la Direttiva Primaria (sopravvivere).

È, quindi, inevitabile che se cerco di spiegare al tuo Ego che, in realtà, è solo una macchina destinata a durare un tempo assai breve poiché interamente espressa da un cervello fisico (nei sistemi fisici, l’entropia corre veloce), quello reagisce immediatamente censurando qualsiasi informazione possa venire da me, compresa quella più importante, ossia che, in realtà, l’esistenza di un essere umano comporta anzitutto la presenza di una parte immortale. Ciascuno di noi è vivo giacché sostenuto da un flusso vitale che entra in ogni organismo biologico attraverso una struttura, una macchina psichica che abbiamo denominato Keter.

Il problema, però, è che tale parte immortale è espressa da un Io Osservatore (IO) che, proprio in questo istante, è totalmente identificato con il tuo Ego. Intendiamoci, questa non è una cosa cattiva o buona in sé. Non esistono cose buone o cattive in sé, poiché è lo scopo che ti sei dato ciò che determina cosa, per te,  è buono e cosa non lo è. Così che se il tuo scopo è vivere la tua vita e poi morire, più sei identificato con il tuo Ego, meglio funzionerai nel mondo attuale. Tuttavia, se l’idea di cessare d’esistere ti provoca qualche disagio, allora l’identificazione egoica non è una cosa buona e dovresti valutare l’opportunità di sganciarti da essa.

La difficoltà, nondimeno e per i motivi che ho appena esposto, è costituita dal fatto che chi sta leggendo è il tuo Ego e questo, a prescindere dallo scopo che ti sei dato, fa scattare ogni allarme portando l’intero sistema (la tua totalità psichica) al massimo livello di allerta.

Precisazione importante – Intendo ignorare di proposito la presenza interferente conosciuta sul Filo del Rasoio con l’appellativo di “K” e il motivo è semplice: al di sotto di un determinato livello di funzionamento psicodinamico le figure di K e di Ego sono sostanzialmente indistinguibili, al punto che Ego e K sono entrambi efficacemente descrivibili come il costrutto olistico di una macchina biologica (il brain) costituita da oltre cento miliardi di neuroni, ciascuno con milioni di sinapsi potenzialmente attive.

Sei ancora dell’idea che l’Uomo Nero non esista? Ecco, ti sbagli perché è proprio l’Uomo Nero che sta leggendo queste righe. Ora, cosa pensi potrà fare di simili informazioni un’istanza così potente e determinata? È semplice: anzitutto, alla luce della Direttiva Primaria le riterrà inammissibili e, di conseguenza, adotterà una serie di contromisure finalizzate a neutralizzarle e le tattiche per ottenere un simile risultato sono diverse e dipendono dal singolo individuo.

Tuttavia, esistono alcuni pattern osservabili più facilmente di altri. Uno di questi, con ogni probabilità quello maggiormente sfruttato, almeno come prima linea di difesa, è il confronto immediato con informazioni già residenti nel sistema e che appaiono in evidente contrasto con quelle che stai leggendo. Convinzioni radicate e che hanno caratterizzato la tua vita sino a pochi minuti fa e che, spesso, sono fatte di principi inviolabili, la base dei quali non sta necessariamente in qualche filosofia o religione, ma nella parte più sacra di te, quella che nascondi nel sancta sanctorum, per spiegare la natura del quale mi varrò di un frammento dell’Arte dell’Agguato – Psicodinamica:

Ecco, è proprio quest’ultima e più riposta parte di noi la custode di oggetti come il Lapis Philosophorum, ma non solo. In quel luogo così profondo e segreto, infatti, ciascuno ci mette quel che, in base alla propria storia e ai propri tratti essenziali, ritiene sacro e intoccabile. E, così, il narcisista ci mette l’immagine che ha di se stesso, il devoto ci piazza il padre celeste e amorevole che la sua paura della morte lo spinge a creare, il violento vi colloca un bimbo abbandonato e che va difeso con la vita, il tossico vi pone lo stesso Nulla, ossia l’idrovora mai sazia che si nutre della sua esistenza.

Potrei continuare citando il razionalista che nel sancta sanctorum conserva gelosamente il principio di causa/effetto, insieme al prepuzio di Aristotele. Oppure il cinico che nel sacrario custodisce un’idea di purezza che mai riuscirà a raggiungere (non esiste peggior idealista di un cinico).

Non so chi tu sia, tuttavia comprenderai che di fronte ad argomenti talmente radicati e sacri, ciò che stai leggendo ha un’elevatissima probabilità d’essere cestinato all’istante. E, infatti, in tutti questi anni è proprio ciò che ho visto verificarsi nella quasi totalità dei casi. Persone che in qualche modo si sentivano attratte da concetti, se vogliamo, utopici come la libertà totale o anche solo fascinosi come il potere personale, dopo essersi fermati un attimo ad ascoltare, fatti due conti, giravano i tacchi e tornavano nel sonno poiché, in realtà, non avevano alcun motivo valido per cambiare. Nessuno di queste persone era abbastanza disperata per desiderare un autentico cambiamento.

Non in tutti i casi, in effetti. Tuttavia, per coloro che, nonostante tutto, intendevano restare sul pezzo, c’era sempre la seconda linea di difesa: l’oblio che, come ho descritto altrove, trova il suo motore nel corpo fisico e, in specifico, nel senso di pesantezza che questo, mercé il fantasma del razionalismo (la gravità), esercita sull’intera totalità psichica.

La figura archetipica dell’oblio è restituita dall’immagine di un asino che non smette mai di girare attorno a una macina, azionandola perennemente. È ciò che fa il corpo fisico durante l’intera vita umana: con il suo peso riporta costantemente l’attenzione sui bisogni fisici, facendo ricadere nell’oblio ogni altra cosa.

Ecco, nel momento nel quale entrambe queste linee di difesa dovessero fallire (stiamo trattando di un numero davvero esiguo di individui), l’Ego assume il sembiante proteiforme di K, argomento che ho già trattato ampiamente sul blog e che, perciò, qui ignoro.

Ciò che in questa sede m’interessa descrivere, infatti, è esclusivamente l’Uomo Nero, ossia quel che Gurdjieff definiva (su scala cosmica) il grande TrogoAutoEgoCrat. Ossia, una creatura che, terrorizzata dall’idea della propria morte, per continuare a nutrire l’illusione d’essere immortale, esiste divorando se stessa. In effetti, l’antico  e misconosciuto Ouroboros è proprio questo, ossia la Creatura (Multiverso) che ci ospita e che anche ciascuno di noi incarna, poiché copie fedeli del Multiverso (in Alto Come In Basso).

In modo continuo e il più delle volte inavvertito, parti di noi muoiono e l’energia (psichica) che libera tale morte, ritorna in circolo per dare vita a nuove parti (energie psichiche nascenti, nei sogni simboleggiate dai bambini). Per il vero, le parti morenti sono quelle che hanno nutrito la nostra sofferenza, ossia il modo attraverso il quale ciascuno di noi adempie al compito per il quale è stato concepito: la produzione di consapevolezza. Perciò, è del tutto corretto asserire che noi ci nutriamo di parti di noi stessi per dar vita al ciclo di produzione consapevole, un ritmo che gli antichi alchimisti avevano intuito e descritto come morte (nigredo), rinascita (albedo) e cristallizzazione (rubedo). Il tutto al fine della produzione del nettare degli dei: la consapevolezza, appunto.

Per questo motivo, l’Io Osservatore passa la sua intera esistenza immemore di sé poiché identificato con il grande TrogoAutoEgoCrat (il suo Ego). Per questo motivo, uscire da questo stato per reclamare la propria immortalità è così difficile e, soprattutto, è affare di pochissimi. È anche affar tuo? È solo una tua scelta.

Tuttavia, sappi che nell’improbabile caso tu decida di compierla, ti troverai a lottare contro una potenza immane, ossia quella propria del tuo stesso cervello fisico il quale, in questo preciso istante, ha tutte le carte in sua mano, compresa una capacità computazionale mostruosa, unita a un’assoluta determinazione a non lasciare il controllo. Ne consegue che se l’obiettivo è (e non può essere altro che) assumere un punto di vista terzo rispetto alle tue proprie azioni (in altre parole: disidentificarti dal tuo Ego), l’unica reale possibilità d’azione che ti resta è la non-azione che, detto in modo meno zen, significa anzitutto distacco (il castanediano non-fare). La non-azione è il solo punto debole dell’Ego e ciò perché il c.d. internal brain (IB, vedi L’Arte dell’Agguato), ossia il cervello fisico (il corpo dell’Ego), è letteralmente un super-aggregato di funzioni, ossia di macchine che fanno qualcosa e che, a motivo di ciò, hanno in orrore la non-azione giacché questa è associata al Nulla e, di conseguenza, alla morte.

Questo determina il fatto che ogni singola parte del tuo brain è (e sarà) usata per tenerti (in questo istante sto cercando di parlare al tuo Io Osservatore) nello stato di identificazione profonda con il costrutto olistico denominato Ego. Non mi stancherò mai di ripetere che il lemma olistico indica che un oggetto è maggiore della somma delle sue parti. Sono persuaso, ma si tratta di una convinzione del tutto personale, che questo sia stato proprio uno dei motivi che ha spinto Gurdjieff a coniare la strana definizione di TrogoAutoEgoCrat, ossia per cercare di rendere al massimo la concretezza e la potenza dell’olismo derivanti da macchine di tale complessità (il riferimento, quindi, è sia al macrocosmo con il Multiverso, sia al microcosmo con l’internal brain).

Ciò che, quindi, mi piacerebbe riuscire a far passare (sto sempre cercando di parlare al tuo IO) è che pensare di poter usare una qualsiasi parte del cervello fisico per uscire dal labirinto che il brain stesso concreta è, nella migliore delle ipotesi, una pia illusione perché non esiste nemmeno un singolo neurone che non sia sotto il controllo immediato e diretto del tuo Trogoautoegocrat. È, perciò, velleitario pensare d’iniziare una partita a scacchi con un avversario così potente perché, paradossalmente, più bravo sei, più lui sarà potente e avanti a te di parecchie mosse.

Per questo l’unico modo per batterlo è la non-azione, perché il distacco è l’unico modo per sottrarre all’avversario le sue armi più potenti, ossia le tue stesse capacità cognitive.

Di talché, superate le prime due linee di difesa (informazioni residenti e oblio), ossia nell’ipotesi di trovarmi di fronte a un lettore realmente determinato, è assolutamente necessario produrre ciò che Juan Matus definiva uno sforzo sostenuto e un intento inflessibile (Gurdjieff lo definiva semplicemente super-sforzo). Sforzo diretto a portare l’IO in posizione terza rispetto all’Ego. E questa è un’impresa che può essere realizzata solo tramite un Agguato costante, ma tutto ciò è già stato ampiamente descritto.

 

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