Sintesi

The Doctor

Tutto iniziò come se l’antica certezza della solidità dell’esistenza fosse improvvisamente venuta a mancare. All’inizio, nessuno comprese quanto stava accadendo, ma per tutti divenne percepibile l’abisso. Uscivi per strada e vedevi la paura negli occhi delle persone. Uno sgomento senza nome, un turbamento profondo e al quale nessuno riusciva a sottrarsi.

I vecchi, soprattutto, mostravano la difficoltà più grande. Gli occhi spalancati, camminavano senza meta, guardandoti senza vederti. Qualcosa di profondo e di antico si era spezzato, il fondamento che sino a poco prima aveva sostenuto la vita, ora sembrava essere scomparso. Come se quell’oceano d’infinite possibilità che, con la sua risacca inesauribile, aveva da sempre giustificato ogni cosa ripulendo la battigia dagli errori, dalle incomprensioni, dalle violenze, dai cadaveri generati dall’umano agire, non ci fosse più e ora l’umanità fosse completamente sola.

Quanto sopra risale al 2016 (Gli Immortali). Lo scrissi come inizio d’un sogno vasto, scaturito dal pungolo di una strega potente. Un visione che, nel suo complesso, avrebbe disegnata una mappa articolata e multiforme destinata, almeno nelle mie intenzioni, a guidare il cammino degli Immortali sino allo Stato Terzo. La scrissi, così, in grazia di uno stato percettivo alterato nel quale non ero più io e non ero più qui, ma stavo in un altrove posto in un futuro a volte vicino, altre lontanissimo. Al punto che, al termine d’ogni sessione di scrittura, mi ritrovavo in una sorta di stato autistico che m’induceva un’immobilità quasi catatonica e nella quale ero solo capace di fissare lo schermo che mi stava di fronte.

Ora e a prescindere dalla specifica descrizione proposta nel lavoro linkato, il futuro più vicino nel quale mi ritrovai, fu proprio l’inizio della fine e il dato rilevante che oggi, in piena pandemia, mi colpisce di più è proprio il senso di smarrimento e solitudine nel quale il COVID-19 induce gli esseri umani. Il medesimo spaesamento che vidi contrassegnare l’inizio della fine del tempo umano, inizio a intravederlo ora negli sguardi spaventati e nascosti dietro le mascherine chirurgiche.

Così, mi sono chiesto se tutto questo non sia davvero solo più l’esordio dell’apocalisse. Certo, non è la prima volta che il mondo occidentale è schiacciato dal tacco di un morbo oscuro: peste, vaiolo, sifilide e via elencando. Tuttavia, da diversi anni a questa parte, l’uomo occidentale si era persuaso d’essere diventato bravissimo nel contenere questi mostri. Penso all’ebola o alla prima SARS che, nonostante avessero provocato allarme e causato morte, furono entrambi prestamente contenuti e, infine, debellati.

Non il COVID-19 che, a prescindere da chi lo abbia scatenato (sul punto non mi addentro giacché appare del tutto privo di rilevanza), è sfuggito a ogni tentativo di contenimento lasciando, per usare un’espressione dialettale colorita, l’umanità contemporanea con una mano davanti e l’altra de dietro.

Memorabili le reazioni di personaggi illustri (è detto con ironia) del mondo economico e politico. Da Christine Lagarde (“non siamo qui per chiudere gli spread”) a Boris Johnson (“abituatevi a perdere i vostri cari”), due fulgidi esempi di minchioni psicopatici che, da soli (ovviamente, ce ne sono stati altri), sono stati capaci di fornire la cifra autentica del livello di demenza dispatica (nel senso di priva d’empatia) nel quale l’intero consesso umano è precipitato grazie al progresso tecnologico.

Sì, perché il punto non sta tanto nelle miserabili storie personali di questi due dementi, bensì nel fatto che entrambi possano rappresentare in modo plastico e fedele il reale stato di coscienza che caratterizza l’intera umanità contemporanea la quale, beccata improvvisamente con i pantaloni calati, non è stata capace di fare altro che manifestare tutta la sua imbarazzante fragilità. E, allora, qualcosa mi spinge a immaginare uno scenario all’interno del quale il COVID-19 è solo l’inizio.

Il 5 febbraio scorso Repubblica pubblicava un articolo dal titolo “Artico, bolle di metano sotto il permafrost. I ghiacci si sciolgono e liberano gas“, presentando come buona notizia il fatto che, nonostante il riscaldamento globale stia liberando metano in conseguenza dello scioglimento del permafrost, a detta degli esperti un tale rilascio appare ancora confinato a livello di alcune zone del circolo polare artico.

Ora e a parte il fatto che s’ignora del tutto l’Antartide, la temperatura media annua nel circolo polare artico è passata dai -2°C del 1880, ai +1.75°C attuali. Questo comporta che, per una banale legge fisica (sopra gli zero gradi centigradi, il ghiaccio torna in uno stato liquido), ciò che si trova imprigionato sotto al permafrost si sta liberando. Il problema, allora, è capire cosa, insieme al metano, si stia disperdendo in atmosfera. Sì, perché nel permafrost può esserci di tutto, compresi microrganismi (rectius: batteri e virus) vecchi di centinaia di milioni di anni. In buona sostanza, agenti patogeni nei confronti dei quali saremmo, con ogni probabilità, sforniti di qualsivoglia tipo di difesa immunitaria. Ne consegue che se quanto ipotizzato avesse un minimo di senso (e mi pare che l’abbia), allora Global Warming e pandemie potrebbero essere lo strumento perfetto per l’estinzione di massa della razza umana.

In una simile evenienza, quindi, la dissonanza cognitiva che stiamo avvertendo grazie al COVID-19 sarebbe inevitabilmente destinata a trasformarsi nel senso di spaesamento, di disperato abbandono e solitudine che solo la presenza della morte imminente sa trasmettere.

Se tutto ciò, dunque, avesse un senso, allora questa sarebbe la fine di un’esperienza lunga all’incirca trenticinquemila anni. Un respiro rispetto all’età dell’universo e, tuttavia, d’intensità tale d’avere, sì, sconvolto il pianeta che ci ha ospitato, ma anche d’essere forse riuscito a portare alcuni di noi a ridosso del misterioso Quantum Jump.

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