L’Io Osservatore

io osservatore

Intro

Nei miei lavori, definisco sempre l’Io Osservatore (IO) quale istanza del Monadic Cloud (MC) e ciò in contrapposizione all’Ego che, diversamente, è qualificato come olismo del cervello fisico. Ebbene, il presente lavoro intende descrivere l’IO in modo più profondo e intimo. Ovviamente, il presupposto è costituito dal fatto che ciascun IO, grazie al fenomeno della ricombinazione monadica, costituisce un’istanza unica e irripetibile. Tuttavia e grazie all’osservazione delle esperienze oniriche, ho maturato la convinzione che esistano talune caratteristiche comuni che, quindi, possono appartenere ad ogni IO esistente.

Per iniziare a ipotizzare la struttura di base di un qualsiasi IO, è d’uopo considerare che, per definizione, esso è descritto come un’istanza del Monadic Cloud. Di conseguenza, sembra opportuno muovere dalla struttura di quest’ultimo. In realtà, se tutto ciò che possiamo conoscere del MC è il numero fisso di monadi che lo costituiscono (laddove per monade s’intende un’infinitesima frazione di Coscienza), allora è inevitabile pensare l’IO come un’espressione strettamente monadica. In altre parole e dati i suddetti presupposti, una prima ipotesi potrebbe descrivere l’IO come un insieme di monadi.

I problemi, quindi, sembrerebbero sostanzialmente riguardare anzitutto il tipo di monadi (rispetto alle dodici tribù di base), nonché il loro numero.

Tipo

Per cercare di dare risposta a questi interrogativi è necessario considerare il fatto che l’IO, giacché istanza del MC, è per sua natura privo di ciò che abbiamo definito modalità dell’essere. Ora, questo comporta che, almeno in primissima battuta, l’IO riesca a contestualizzare la propria esperienza solo quando è profondamente piantato nel brain fisico. In altre parole, solo quando è identificato con l’Ego e, per questo, propriamente definito come Io Egoico (IE).

In buona sostanza, è solo grazie all’Ego che l’IO è capace di conoscere confini precisi (definiti dal corpo fisico e da tutte le sue limitazioni) e, grazie a questi, di distinguere se stesso dalla virtualità circostante. Si consideri il seguente schema (già proposto in un lavoro precedente):

Athanor

Lo schema cerca di rappresentare il meccanismo psicodinamico sopra descritto. In specifico e come già affermato altrove, il MC è un motore psichico che, tramite i propri NA, produce determinate pulsioni le quali, a ben guardare, sono veicolate all’interno del brain fisico proprio dall’IO.

In sostanza, si torna in modo sorprendentemente aderente alla descrizione già proposta nel secolo scorso da Gurdjieff poiché a prescindere, per il momento, dal numero di monadi ingaggiate nella formazione dell’IO, ciò che appare è un vero e proprio turnover di tali componenti monadiche durante il periodo di veglia. In altri termini, ciascuna monade presente nel MC desidera sperimentare la contestualizzazione della virtualità attraverso l’identificazione egoica e, a motivo di ciò, si alterna con le altre nella edificazione della struttura denominata Io Osservatore.

Ebbene, se riferiamo tale meccanismo agli albori dell’esperienza umana, allora parrebbe sensato ipotizzare che gli IO dei nostri antenati fossero costituiti da un gruppo di monadi capace di rappresentare in modo eguale ciascuna tribù. Tuttavia e come visto altrove, il fuoco della sofferenza ha costretto molte di tali monadi a costruire i coaguli monadici permanenti che abbiamo denominato Nuclei Alogeni con la conseguenza che, nel tempo presente, la situazione può ben essere quella presentata nello schema proposto. Ossia e in ultima analisi, un IO costituito da più monadi tutte appartenenti a uno specifico NA (le quali, si noti, non necessariamente provengono dalla medesima tribù). E appare ovvio che più sono numerosi tali NA, maggiore sarà la frequenza con la quale gli stessi si alterneranno nella formazione dell’IO, così come la diversità dei tipi stessi.

Vien da sé, quindi, che anche le pulsioni sperimentate dal singolo individuo muteranno in base al turnover monadico, anche se qui non sembra possibile prescindere dal tipo di NA che abitano il MC e, di conseguenza, dalla loro dimensione. In specifico, appare verosimile che un NA molto esteso farà la parte del leone in mezzo ad altri NA di piccole dimensioni, sia durante il tempo di veglia dell’IO, sia rispetto al tipo di monadi coinvolte e, di conseguenza, con ricaduta sulla potenza delle pulsioni generate. Ciononostante, non sarà comunque possibile predicare anticipatamente il tipo di monadi agenti, essendo tale giudizio rendibile solo ex post, ossia in relazione alle conseguenze delle azioni specifiche del Burattino.

Numero

Abbiamo visto più volte che l’unica fonte disponibile rispetto al presunto numero di monadi costituenti un Monadic Cloud è Apocalisse 7, 4:8

4 Poi udii quanti erano i segnati: erano centoquarantaquattromila, presi da ognuna delle tribù d’Israele:

5 dodicimila dalla tribù di Giuda,

dodicimila dalla tribù di Ruben,

dodicimila dalla tribù di Gad,

6 dodicimila dalla tribù di Aser,

dodicimila dalla tribù di Nèftali,

dodicimila dalla tribù di Manasse,

7 dodicimila dalla tribù di Simeone,

dodicimila dalla tribù di Levi,

dodicimila dalla tribù di Ìssacar,

8 dodicimila dalla tribù di Zàbulon,

dodicimila dalla tribù di Giuseppe,

dodicimila dalla tribù di Beniamino.

Ora, se il versetto indica un totale di 144.000 e questo è assunto come valore costante rispetto alla composizione monadica di ciascun MC umano, sembra avere senso ipotizzare che anche i singoli IO siano costituiti da un numero di monadi fisso e immutabile. Non solo, appare anche naturale pensare tale numero come frazione intera di 144.000. E, a ben vedere, gli interi possibili potrebbero essere i seguenti:

  1. 12, ossia la frazione intera più piccola che permetta la presenza di ciascuna tribù (144.000/12.000);
  2. 24, ossia il numero delle coppie di cromosomi nel DNA di ogni individuo appartenente al genere Homo (144.000/6.000);
  3. 48, ossia il numero di cromosomi nel DNA di ogni individuo appartenente al genere Homo (144.000/3.000).

Ebbene, in assoluto omaggio al vejo nagual, da tempo ho scelto la terza opzione anche se, come descritto nel lavoro dal titolo Le Chiavi Biologiche, il passaggio dei Sapiens a una struttura a 46 cromosomi (grazie alla c.d. traslocazione robertsoniana) è stato, con ogni evidenza, il prerequisito necessario all’attivazione della neocortex da parte delle Chiavi stesse (viceversa, qualsiasi scimpanzé che ingoiasse funghi psilocibinici rischierebbe di trasformarsi in essere umano). Sul punto, ricordo che fu Juan Matus a riferire a Castaneda che 48 è il numero dell’uomo. E siccome ho certezza che Juan Matus fosse, in realtà, un NA di Carlos Castaneda, sono portato ad assegnare assoluto valore a una tale affermazione.

Nella sostanza, quindi, l’IO dei Sapiens 46 è identico a quello degli scimpanzé giacché, almeno in ipotesi, appare formato da 48 monadi e verosimilmente, almeno subito dopo l’incontro con le Chiavi Biologiche, in ragione di quattro per ciascuna delle dodici tribù descritte in Apocalisse 7 (supersimmetria, come detto, gradualmente superata dal formarsi dei Nuclei Alogeni).

Sintesi

Ebbene, l’essere umano è efficacemente descrivibile come un nucleo di Coscienza, denominato Io Osservatore, formato da 48 monadi di tipo non determinabile a priori (giacché questo dipende dal Nucleo Alogeno che in un dato istante ha funzione di guida del Burattino), nonché profondamente identificato con uno specifico brain fisico e, per questo, totalmente dimentico di sé.

Esiste un unico modo per svegliare l’IO e prende il nome di Agguato, così come colui che pratica tale tecnica prende il nome di guerriero. A questo punto, però, l’intera faccenda muta in modo sorprendente poiché l’esperienza umana propriamente detta termina di fatto nell’istante nel quale l’IO diviene consapevole di ciò che è in realtà. E questo accade quando l’IO, grazie a un Agguato sostenuto e inflessibile, varca un preciso limite percettivo oltre il quale smette semplicemente di pensare se stesso come un corpo fisico. Oltre tale limite e per usare una figura castanediana (e, ancor prima, taoista), l’IO si ritrova nel non-fare (o nella talità se si preferisce il buddhismo), ossia e in termini più prosaici, si scopre a ridosso della sua ghiandola pineale. La disidentificazione egoica profonda, infatti, rendendo manifesta la natura virtuale di ogni cosa (in primis, il corpo fisico), determina sacche sempre più ampie di un silenzio interiore del tutto naturale che, quando è presente, permette all’IO di non perdersi nel labirinto mentale e di restare fermo al centro del brain, ossia proprio nel luogo dov’è ubicata la pineale.

Da qui alla Scelta, quindi, il passo può essere più o meno breve giacché tutto dipende da un sottilissimo equilibrio psichemico che nessuno, nemmeno la nostra Parte Immortale, è in grado di preconizzare.

Tuttavia e questo lo posso testimoniare in modo diretto, trattasi di un periodo di potente introversione psichica, durante il quale l’interesse per la virtualità scema grandemente, sino a spegnersi quasi del tutto.

Residuano, certo, parti di energia attentiva estroversa destinate al sostentamento e alla cura del soma. Per il resto, ciò che aumenta in modo importante, soprattutto nei periodi di silenzio interiore spontaneo, è il senso d’intimità con la Parte Immortale. Intimità che nasce e sviluppa proprio su ciò che potremmo chiamare consapevolezza del Sé, laddove il Sé altro non è che l’IO disidentificato e, di conseguenza, consapevole di non appartenere al corpo fisico, bensì alla Parte Immortale.

Se, tuttavia, fosse tutto qui sarebbe ancora e solo follia su follia giacché solamente uno scopo trascendente ha il potere di conferire all’immortalità un senso compiuto trasformando l’urlo infinito nella Grande Ottava della Consapevolezza. E sul Filo del Rasoio tale scopo prende il nome di Stato Terzo.

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