Il Vecchio e la Strega

Honros
Eremita

Un giorno, la Strega volle raccontare al Vecchio del suo incontro con Anima.

Il Vecchio naturalmente la ascoltò in silenzio. Era sornione, il Vecchio, e lasciò che la donna narrasse ogni dettaglio della vicenda, senza interromperla.

Risate fragorose e silenzi prolungati, era questo uno dei suoi modi preferiti di trattare i giovani talenti e ciò era tanto più vero, quanto più costoro si avvicinavano a oggetti potenti e pericolosi come le loro Anime.

  • Vecchio, sono giorni che ti ho narrato del mio incontro e ancora non mi hai detto nulla.

Il Vecchio la guardò senza ridere. Forse, non ne aveva alcuna voglia, perciò il suo occhio era vitreo e questo mise in allarme la donna.

  • Mi vuoi spaventare?
  • Augurati che non sia così. La cosa più difficile da accettare per coloro che si muovono sul Filo è che là fuori non c’è niente, se non quello che abbiamo creato noi. Tu pensi di avere parlato con Anima. È possibile che tu l’abbia fatto. Tuttavia, ciò che è accaduto realmente è che hai appoggiato il tuo piedino sopra una merda bella grossa.
  • Che dici? Di che parli?
  • Ciò che sperimentiamo grazie alla nostra percezione è sempre e solo dualità. Non si può “incontrare” Anima, non nei termini che hai in mente tu. Anni fa, un’altra guerriera incontrò una testa gigantesca, rosso fuoco. La descrisse come la quintessenza della spietatezza, un’immagine talmente potente che ne fu letteralmente inghiottita. Tanto che, con ogni probabilità e ancora oggi, è prigioniera di quella descrizione. Vedi, il punto sta proprio qui, ossia nel fatto che quell’immagine era una sua rappresentazione e, dentro le descrizioni, le persone prima impazziscono e, poi, muoiono.
  • Ma, allora, come si esce da tutto questo?
  • Esiste solo un modo e si chiama Stato Terzo. Il problema è che nessuno sa cosa sia e, soprattutto, se sia possibile realizzarlo. Il problema è che ciascuno di noi è portato in modo profondamente naturale a credere a ciò che vede e questo è vero per tutti, anche per i razionalisti più spinti. Parlo di quelli piantati sul “metodo scientifico”, ossia sul paradigma in base al quale una cosa è vera solo se può essere sperimentata da più individui separatamente, ottenendo sempre gli stessi risultati. Semplicemente, questi non si rendono conto che hanno escogitato il modo di collettivizzare l’atto creativo. Certo, in questo modo riescono a edificare pezzi di virtualità davvero molto compatti. Tuttavia, ciò che hanno fatto è solamente aver solidificato un sogno.
  • Ma … perché?
  • Perché credere a ciò che vediamo (o sperimentiamo) corrisponde al nostro bisogno più profondo e intoccabile. Perché smettere di credere in ciò che vediamo ci porta dritti dentro al Nulla o all’Uno, se ti piace chiamarlo così. In fondo, è proprio questo il motore della vita: la paura della solitudine eterna, ossia lo stato nel quale si trova la Coscienza quando è Uno. Questo ci spinge a credere ciecamente a ciò che vediamo e sperimentiamo. Tizio prende un martello e spezza un dito a Caio. In quel tragico istante, entrambi sono divorati da emozioni tanto profonde quanto violente, ma una parte di entrambi esulta perché è viva. Ricordi Fight Club? Il senso profondo di quella pregevole opera era proprio questo. Tuttavia, non potendolo dire apertamente, si parla del film come di una critica al consumismo e all’alienazione dell’uomo moderno. E’ sicuro che l’opera critica questi aspetti ma, nello stesso tempo e in modo del tutto istintivo (rettile), offre un’unica via d’uscita: l’autodafé medievale, il lavacro violento dentro al quale redimere la coscienza dalle colpe passate, resettando ogni cosa per poter tornare a sognare “come si faceva un tempo”. In altri termini, ciò che hanno sempre fatto le guerre. Infine, si tratta di un’opera che cerca di salvare il razionalismo attraverso il recupero di modalità profondamente irrazionali. Di là da questo, tuttavia, quel che è interessante è proprio il bisogno atroce di poter credere in qualcosa. E cosa c’è di più concreto e tangibile del dolore fisico? Tutto ciò perché “credere” c’impedisce di svegliarci e divenire consapevoli della solitudine eterna.
  • Com’è possibile che sappiamo della solitudine eterna se stiamo dormendo?
  • Anima lo sa, ossia la parte di noi che è Coscienza Creatrice. La parte di noi che non può mentire, la stessa che hai vestito così buffamente e che, essendo priva della modalità dell’essere, può agire solo attraverso te. È da essa che traiamo questa profonda paura. Una paura reale, in effetti. Un terrore indicibile al quale gli individui danno corpo attraverso un incessante dialogo interno.
  • E, allora, cos’è Anima?
  • La possibilità di avere una possibilità.
  • Possibilità di diventare cosa?
  • Attori dell’impossibile. L’intera vita è solamente questo, un esperimento per capire se il singolo riuscirà nel cimento, ossia costruire per sé e per Anima qualcosa che possa resistere indefinitamente al Nulla. E il motivo di tutto questo è sempre e solo uno: portare la Coscienza Creatrice fuori dal ciclo incessante di creazione/annichilimento. Questa è l’unica cosa che Anima desidera. Si tratta di un obiettivo monomaniacale, alimentato in modo feroce dall’orrore della solitudine eterna. Ad Anima non importa un fico se il singolo esperimento sarà un santo o un mostro. Per essa ciò è indifferente. L’unica cosa che conta è provarlo al fuoco dell’esistenza per aumentarne la consapevolezza e, di conseguenza, la capacità di aprirsi alla conoscenza. Quando questo accade, l’individuo può (o non può, è una scommessa) decidere di accettare questa tremenda sfida, ossia farsi carico in prima persona di un simile fardello. Perciò, ogni esistenza è una scommessa durante la quale Anima apre se stessa a ogni suo burattino. Lo fa ogni volta e, quando l’ha fatto, si limita a osservare. Se il burattino le volta le spalle (comunemente, nemmeno si avvede del varco), essa fa altrettanto. A quel punto, la consapevolezza prodotta dal burattino durante la vita, diverrà il suo cibo.
  • Se, invece, accetta?
  • Se accetta, allora per il burattino inizia la guerra vera. Un conflitto che può estendersi per l’intera età adulta e sull’esito del quale non è dato predire alcunché.
  • Allora perché hai detto che ho pestato una merda?
  • Perché Anima non è capace di essere. Questo significa che quando me la descrivi conversare amabilmente con te, stai rappresentando qualcosa che è frutto della tua attività fantastica. Qui, tuttavia, torniamo al punto di partenza. Ossia, al bisogno atroce di dover credere in qualcosa. Un bisogno che ci salva dal Nulla e che, perciò, va mantenuto. Ponendo solo attenzione a non farci divorare da questo bisogno come avvenne per la strega della quale ti ho accennato prima. E per fare questo devi imparare a essere sobria e a non prenderti mai troppo sul serio. Più l’immagine che usi è potente, più il pericolo che veicola è grande. Perciò, il capolavoro autentico è determinato dalla capacità del singolo di creare la propria descrizione, senza farsi fagocitare da essa. E questo è davvero molto difficile.
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