L’Antico Patto

Con questo articolo, intendo descrivere molto brevemente il modo con il quale è evoluto, nel tempo, il rapporto fra maschile e femminile. A tale proposito, affermo che esiste una evento cruciale (costituito dal diluvio, 5600 a.c.) dopo il quale il rapporto in discorso ha conosciuto una rifondazione drammatica, determinando il passaggio da una società ginecocratica a quella attuale.

Specifico che il termine ginecocratico, coniato da J. J. Bachofen nel 1881, significa letteralmente “dominio delle donne”. Il problema, per il pensiero dominante , è che si tratterebbe di uno schema mai esistito e che dovrebbe essere tenuto distinto da definizioni quali matrifocale, matriarcale, matricentrico o gilanico. Queste ultime, infatti, definirebbero forme sociali prive di schemi di dominio patriarcali poiché centrate sull’idea che una femmina è inadatta alla violenza tipica del comportamento maschile e che, quindi, genererebbe forme sociali inevitabilmente caratterizzate da un alto li vello di parità ed equilibrio. Personalmente, ritengo tutto ciò il frutto di una posizione sostanzialmente ipocrita, basata com’è su un autentico pregiudizio. Tuttavia, non esistendo alcuna memoria storica dell’umanità antidiluviana, va da sé il fatto che ciascuna posizione finisce necessariamente relegata nell’ambito delle ipotesi. E ogni ipotesi, almeno sino alla dimostrazione della sua infondatezza, ha diritto di cittadinanza.

A mente, quindi, del mitologema che vuole una femmina come prima mangiatrice del frutto proibito (le chiavi biologiche, vedi Keter), ritengo lecita l’ipotesi (McKenna – Il Nutrimento degli Dei) che la società nata da quell’evento sia stata profondamente ginecocratica.

Quando, infatti, la prima femmina di Sapiens ingoia alcuni carpofori psicoattivi del tipo psilocybe cubensis e/o psilocybe semilanceata (dove questo sia accaduto, non è in discorso) e torna dal clan per condividere l’eccezionalità della scoperta, ciò determina due cose:

  1. La nascita della razza umana;
  2. Il riconoscimento della supremazia al genere che ha determinato ciò con la conseguente creazione di una piramide sociale all’interno della quale domina incontrastato l’elemento femminile.

Si pensi, quindi, a un’umanità neonata e descritta da femmine potenti che, nella totale assenza di un Super-Io (sia individuale, sia razziale) e profondamente a contatto con la propria dimensione preverbale, dominano il mondo, disegnando un rapporto con il maschile, con ogni probabilità, molto simile a quello che possiamo oggi osservare fra le api.

Maschi/fuchi, privi di qualunque rilevanza sociale, con la sola eccezione della riproduzione e, forse, del reperimento del cibo. Uomini bambini, forse anch’essi dotati di capacità visionarie, ma assolutamente privi di qualunque potere di direzione dei clan, accanto a donne anch’esse bambine, ma nel pieno del loro potere stregonesco, capaci di mirabilia soprattutto durante il flusso mestruale.

Un periodo dominato da una magia saldamente nelle mani di donne capaci di spostamenti percettivi indescrivibili e attorno alle quali sono edificati fenomenali luoghi di culto come, ad esempio, quello di Göbekli Tepe.

Göbekli Tepe

Scrivere di Göbekli Tepe (in turco, collina tondeggiante) è un rischio. Sono in molti, infatti, i predatori che si stanno contendendo l’osso, ognuno agguerrito anzichenò, nell’intento di determinare (e non si tratta di una figura retorica) cosa rappresenti quel sito.

In buona sostanza, Göbekli Tepe, per la narrazione ufficiale della storia umana, è quel che si dice una variabile indipendente, ossia un dato inatteso che irrompe in uno schema ordinato, compromettendolo senza alcuna pietà. Se volete, la stessa informazione dissonante e assolutamente imprevista, denominata Il Mulo e descritta da Asimov nel suo Ciclo delle Fondazioni. Questo perché, cito da Wikipedia,

Le raffigurazioni di animali hanno permesso di ipotizzare un culto di tipo sciamanico, antecedente ai culti organizzati in pantheon di divinità delle culture sumera e mesopotamiche.

Vedremo come la definizione di Wikipedia sia penosamente inadeguata. Per il momento, rileviamo come le datazioni al carbonio 14 hanno restituito l’informazione che il sito risale a circa 12000 anni fa, capite bene che per i parrucconi dell’archeologia s’è trattato di un colpo davvero molto basso, fissati com’erano sul 5000 a.c. come punto d’origine della civiltà umana (in sostanza, immediatamente dopo il diluvio e già questo la dice lunga sull’apertura mentale di questi sacerdoti del sapere). In ogni caso, cominciamo a capire un po’ di più di questo incredibile sito, partendo dalla sua posizione geografica (37° 13′ 22″ N, 38° 55′ 20″ E).

Gobekli Tepe 01
FIgura 1: Göbekli Tepe, posizione geografica

Sembra partire tutto da qui, da questo luogo magico che ha nel suo centro i due fiumi: Eufrate e Tigri. Un’area nel complesso ben definita e che ricomprende Turchia, Georgia, Armenia, Azerbaijan, Siria e parte dell’ Iraq e dell’Iran. Un topos che Göbekli Tepe ci dice avere storia assai più antica di quella spacciata dall’ufficialità. Una storia ginecocratica, appunto.

Da notare, quindi e immediatamente, nella citazione proposta sopra, la frase “le raffigurazioni di animali”. Wiki parla del sito più enigmatico e potente della storia dell’archeologia in un modo che, almeno per ciò che posso reperire in internet, mi pare fuorviante (specifico che non ho mai visitato il sito personalmente e che perciò, trattandone, sono costretto a fidarmi del materiale che trovo in rete). Osservate, dunque, questo reperto:

Gobekli Tepe 03
Figura 2: Göbekli Tepe – L’edificio con i leoni. Figura di una donna nuda, scolpita su una lastra di pietra

È del tutto evidente che non si tratta di una figura animale, bensì di una donna, completamente nuda e che mostra la vagina, aperta con evidenza in modo abnorme. Figura che compare sul pavimento del Löwe Pfeiler Gebäude (edificio delle colonne con i leoni), a Göbekli Tepe.

Ebbene, la cosa curiosa è che tale immagine non circola e se lo fa, ciò accade solo per l’entusiasmo di qualche isolato ricercatore. Il mondo, quello delle persone comuni, non sa della donna sul pavimento dell’edificio delle colonne con i leoni. Al punto che, nel 2008, le riviste Archeology e Smithsonian pubblicano entrambe un articolo sul sito ma nessuna delle due la menziona.

Il fatto è che l’immagine ricorda troppo la Sheela Na Gig (sì, considerate le epoche, in realtà è il contrario), ossia una serie di sculture definite dall’ufficialità medievali poiché rinvenute presso antiche chiese medievali irlandesi e inglesi. Sheela, in lingua medievale irlandese, significa donna, mentre Gig indica la vagina. In sostanza, il nome descrive l’aspetto del manufatto.

Gobekli Tepe 04 (Sheela Na Gig)
Figrua 3: Sheela Na Gig

Ecco, secondo Marija Gimbutas, archeologa e linguista lituana molto osteggiata dall’accademia, Sheela Na Gig non è altro che l’antica dea rana-rospo, un’immagine legata alla nascita e alla rigenerazione (che passa attraverso la morte), ereditata dal Neolitico e presente, nella forma della dea Heket, in Egitto, la quale rappresentava la madre primordiale d’ogni essere vivente.

Nel periodo predinastico (circa 3100 a. c.), Heket è stata ritratta come una donna con una testa di rana, o come una rana o rospo. La rana era il suo segno geroglifico ed essa controllava la fecondità e la rigenerazione dopo la morte.

Sempre secondo Marija Gimbutas, l’immagine della rana-rospo, unitamente alla donna a forma di rana che mostra la vulva, appare in un arco di tempo ampio, non solo durante il Neolitico europeo e anatolico, ma anche nel vicino oriente, in Cina e nel continente americano. E l’immagine è sempre quella della rana rigeneratrice, la Sheela Na Gig che tiene aperta la sua vulva, ossia la fonte dalla quale fluisce il potere al quale le femmine hanno avuto accesso consapevole solo grazie alle chiavi biologiche.

Un potere che dona vita e morte, indifferentemente e attorno al quale l’umanità bambina aveva eretto templi come quello di Göbekli Tepe.

Un esempio? Qui trovate un articolo di Science (del 28/06/2107) che pubblica una scoperta sconcertante (sì, per loro) fatta dagli archeologi che lavorano nel sito e relativa a resti di teschi umani scarnificati e scolpiti con scanalature profonde e diritte che li percorrono in senso longitudinale. Secondo quanto riportato, le incisioni rappresentano la prima prova della decorazione del cranio nella regione. Ovviamente, si afferma che lo scopo delle sculture non è chiaro. Tuttavia, si ammette che possono essere state parte di un’antica pratica religiosa (chissà perché la parola “magica” sembra disturbarli in modo inaccettabile).

In any cases, leggetevi l’articolo poiché in discorso vi è l’azione di un potere enorme il quale, per diverse migliaia d’anni, fluisce in assenza di qualunque freno inibitorio e che, proprio per questo, deve avere portato i nostri progenitori dentro abissi d’abiezione difficilmente immaginabili. Sacrifici umani, pratiche stregonesche tanto complesse quanto morbose e chissà che altro, in un crescendo di violenza e paura, soprattutto grazie al progressivo strutturarsi di un Super-Io razziale il quale ha spostato in modo lento e inesorabile l’ago della bilancia verso la parte maschile.

Il Diluvio e il Patto

Ecco, tutto questo è spazzato via dal Diluvio. Ossia, da un evento, oltr che fisico, anche profondamente catartico che, proprio grazie al Super-Io razziale nel frattempo espanso oltre limiti precisi, lascia i superstiti schiacciati da un senso di colpa anch’esso difficilmente descrivibile e che, siccome tale, li porta a cambiare drasticamente direzione attraverso un atto rivoluzionario, almeno rispetto all’assetto sociale dominate sino ad allora: il Patto.

Con ogni probabilità, lo strumento del Patto è semplice, poiché avviene fra i superstiti del Diluvio e consta di due sole norme; la prima prevede che la femmina rinunci definitivamente e per sempre al Potere in cambio del Piacere, la seconda che nessun sopravvissuto possa mai fare parola con la prole di quanto ricorda del periodo precedente il Diluvio.

Ora, se la seconda potrebbe essere definita una “norma transitoria”, la prima determina un mutamento tanto profondo, quanto drammatico nel rapporto fra i sessi poiché il Potere, sino a quel momento legato al sangue femminile, è trasferito al fallo maschile. E questo ha conseguenze, sotto il profilo strettamente psicologico, davvero molto importanti.

Jung chiama il fenomeno enantiodromia (Eraclito) e lo descrive come un avvenimento che “si verifica quasi universalmente là dove una direttiva completamente unilaterale domina la vita cosciente, così che col tempo si forma una contrapposizione inconscia altrettanto forte, che dapprima si manifesta con un’inibizione delle prestazioni della coscienza e in seguito con un’interruzione dell’indirizzo cosciente” (Dizionario di Psicologia Analitica).

Se e con riferimento all’Io razziale, per “inibizione delle prestazioni della coscienza” leggiamo Diluvio, mentre per “interruzione dell’indirizzo cosciente” intendiamo Patto, allora è chiaro che siamo di fronte a uno spostamento psicodinamico di proporzioni planetarie e che pone il maschile alla guida dei clan (così come di qualunque altra organizzazione sociale), fornendolo del titolo di “regnante”, ossia di apice della piramide gerarchica, nonché di un bastone o uno scettro che ne rappresenti il fallo.

In questo modo il Potere è “portato fuori” (nella femmina, stava dentro, nascosto) e, passando dal sangue mestruale al fallo, esso (il Potere) s’istituzionalizza, si rende manifesto, finendo sotto l’egida di un Super-Io razziale che, nel frattempo e soprattutto grazie alla catarsi del Diluvio, è cresciuto in dimensione e, di conseguenza, in capacità di controllo.

Dall’altra parte, la donna è privata d’ogni potere (si tratta ovviamente di una finzione la quale, tuttavia e grazie all’immenso senso di colpa sotteso, regge perfettamente) ma ha acquisito il diritto al piacere e ciò fa di lei un individuo del tutto incapace di autonomia (come prima del Diluvio era il maschio) e totalmente determinato dalla penetrazione del fallo.

Al punto che la femmina vergine è in attesa di questo evento come di qualcosa che la caratterizzerà in modo definitivo e “legale” perché lei, in base al Patto, non ha alcun diritto ad autodeterminarsi! E, in effetti, questo è ciò che accade. Quando si fa penetrare, il fallo le dà la direzione che le manca. E sarà esattamente la direzione che proviene da quel maschio.

Da notare che quella direzione potrà essere in totale disaccordo con ciò che quella donna ha appreso prima di quell’istante, tuttavia questo non è per nulla importante perché la donna abbandonerà immediatamente qualunque impostazione contraddittoria per uniformarsi alla direzione avuta dal fallo.

Su questo, tra l’altro, s’innesta benissimo l’intera retorica della “coppia”, con lei fedele (e compulsivamente “progettuale”) e lui tendenzialmente infedele e distratto. Questo, quindi, diventa sistemico giacché una donna che ha più uomini “perde direzione” diventando inaffidabile e, quindi, pericolosamente vicina al pattern antidiluviano. Mentre un uomo che ha più donne, in definitiva crea ordine sociale poiché dispensa direzione a donne che o ne sono prive, oppure che hanno perduto quella che già avevano.

Ovviamente, questi comportamenti hanno costi. Tuttavia, tali costi trovano il loro saldo all’interno delle storie individuali che, quindi, garantiscono al sistema la tenuta del Patto, almeno sino all’avvento del Razionalismo, nonché della ferale svolta tecnologica impressa all’umanità dal medesimo.

Oggi, infatti, l’equilibrio fra i generi è distrutto, ma questa è un’altra storia.

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