Coscienza Creatrice e Consapevolezza

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Diverse volte, nelle precedenti analisi, ho trattato il tema della Coscienza Creatrice, affermando sostanzialmente che è la sola cosa reale. Di essa, ho asserito che non si può predicare quasi nulla, sennonché esiste solamente in questo istante poiché, essendo priva di limiti, non ha dimensione. Con ciò non intendo solamente la dimensione spaziale e temporale, bensì qualunque altra dimensione ipotizzabile (segnatamente, una o più oppure tutte fra le undici ipotizzate dalla M-Theory).

Di fatto, tuttavia, ho anche affermato che essa manifesta se stessa nei due stati apparentemente esclusivi e autoescludenti chiamati Uno e Dualità, in ciascuno dei quali sperimenta sofferenza. A causa di ciò, la Coscienza Creatrice continua a fare la spola fra questi due stati coscienziali, non trovando mai pace. Ho, quindi, denominato questo incessante fluttuare: Danza Folle.

Questo è un punto centrale, giacché è necessario, almeno sul piano concettuale, tenere distinta la Coscienza Creatrice dagli stati che la descrivono e, per farlo, è opportuno chiarire un aspetto fondamentale dell’intera faccenda, ossia cercare di definire con maggiore precisione la distinzione fra Coscienza e Consapevolezza. Discussione tutt’altro che peregrina se si pensa a come attenga a una descrizione tanto atroce ma tenendo in ogni caso presente che, per ovvie ragioni, si tratta di una speculazione limitata allo stato duale, ossia quello nel quale esistiamo in questo istante.

Il “ciclo coscienziale” descritto, infatti, è tutto costruito sulla sofferenza che la Danza Folle induce nella Coscienza Creatrice e disegna un quadro realmente drammatico e, soprattutto, sempre in atto. Iniziamo, quindi, affermando la differenza fra Coscienza e Consapevolezza alla luce dell’asserzione che la Coscienza Creatrice è priva di consapevolezza (il lettore è pregato di porre molta attenzione poiché si tratta di un argomento piuttosto pericoloso).

Se fate caso, il nostro modo d’essere consapevoli è pensabile solamente in costanza di spazio e tempo, ossia e infine, all’interno di un sistema assiomatico poiché ciascuna dimensione funge necessariamente da limite del sistema. Infatti, le quattro dimensioni che caratterizzano la creazione nella quale esistiamo, delimitano una precisa porzione d’infinito all’interno della quale noi possiamo divenire consapevoli.

In altri termini, se l’asserzione “Io sono” è riferibile alla Coscienza, ciò non basta per predicare l’esistenza del parametro denominato Consapevolezza. In realtà, è lecito parlare di Consapevolezza solo nel momento nel quale l’asserzione “io sono” acquisisce una forma, ossia qualora la Coscienza è esperita all’interno di un sistema finito (discreto) o, per usare una definizione formale meno rigorosa, all’interno di una Forma Cosciente.

Di talché, una Forma Cosciente (FC) è descrivibile come una porzione d’infinito determinata da limiti dimensionali assoluti, invalicabili.

Perché sono in questo luogo? Perché sono sempre stato qui, oppure perché prima ero in un luogo diverso! Spazio e tempo sono le dimensioni che descrivono compiutamente la nostra consapevolezza poiché pongono limiti assoluti all’interno dei quali questa può manifestarsi.

Ciò, se il modello del Multiverso che ho avanzato fosse corretto (v. Il Campo Endecadimensionale), vorrebbe significare che, in una creazione con patrimonio dimensionale mancante delle tre dimensioni spaziali e di quella temporale, un’eventuale consapevolezza sarebbe qualcosa di indescrivibilmente diverso da quel che è per noi.

In un simile scenario, quindi, la Coscienza è la configurazione astratta all’interno della quale un determinato tipo di Consapevolezza può manifestarsi ed evolvere. E senza alcun limite teorico riguardo sia al parametro quantitativo sia, a questo punto, a quello qualitativo poiché se è vero che quest’ultimo appare predeterminato dalla configurazione coscienziale di base, nulla impedisce alla consapevolezza di oltrepassare quei limiti, anzi, a mente della cogente esigenza di risolvere la Danza Folle, una tale possibilità appare come solo auspicabile.

A questo punto, quindi, la domanda potrebbe essere la seguente: nel Multiverso nel quale esistiamo e attesa l’esistenza delle undici dimensioni previste dalla M-Theory, quanti tipi di forme coscienti (e conseguenti consapevolezze) sono ipotizzabili?

Ebbene, la risposta potrebbe essere abbastanza semplice poiché, se la forma cosciente è legata al patrimonio dimensionale del singolo universo, allora il numero di tali forme non potrà che essere di 2048, ossia un numero eguale agli universi esistenti in questo Multiverso (poiché, per definizione, ogni universo ha un patrimonio dimensionale unico e non ripetibile, almeno all’interno del medesimo Multiverso).

Se questo è vero, poi, sarà possibile disporre le singole forme coscienziali in base a valori scalari (da 1 a 2048) ottenendo, come si può vedere dal grafico, una spirale (progressione aritmetica su grafico radar).

Multiverso

Scala di valori delle forme coscienziali

Il grafico, quindi, rappresenta i 2048 modi espressi (o assunti) dalla Coscienza Creatrice in questo Multiverso. Sembra, quindi, piuttosto evidente l’intento pragmatico alla base di questo schema: più è grande il numero delle forme coscienziali messe in campo dalla Coscienza Creatrice, più probabilità essa avrà di risolvere il problema della Danza Folle. Ciascuna di queste configurazioni o forme coscienziali, infatti, sarà capace di generare un diverso tipo di consapevolezza. Fra queste e abbastanza ovviamente, numerose saranno del tutto inadatte (penso ai mondi a una sola dimensione, ad esempio), altre invece saranno capaci di produrre fulgide consapevolezze, ancorché di tipo totalmente diverso fra loro.

Non possiamo affermare, ma nemmeno negare, che esistano altri Multiversi. E, nel caso esistano, nemmeno possiamo ipotizzare quale possa essere il numero di dimensioni che esprimono. Tuttavia, quale che sia questo numero, la logica prospettata dovrebbe poter essere la medesima. L’unica differenza potrebbe derivare dal diverso numero di dimensioni in gioco poiché varierebbe la conta delle forme coscienziali possibili.

Una speculazione inutile, dite? Può darsi, tuttavia non così inutile per l’eventuale “istanza immortale” che esistesse dentro un Multiverso il quale, invece, immortale non è.

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Molto bene, ora che abbiamo addentato il nostro osso, possiamo sgranocchiarlo un po’. Si consideri lo schema seguente:

Consapevolezza_formazione

 

Carino, vero? Tuttavia manca qualcosa. Sì, perché non è chiaro il motivo per il quale un Campo Psichico (vedi Teoria dei Campi Psichici) dovrebbe generare consapevolezza. Perciò, modifichiamo lo schema in questo modo:

Consapevolezza_formazione1

Esatto, la consapevolezza è un prodotto della sofferenza. Nessun individuo che non abbia accesso a un adeguato livello di sofferenza può incrementare la propria consapevolezza e questo è anche il motivo per il quale esistono almeno tre categorie d’individui che, rispetto all’incremento della consapevolezza, hanno un problema davvero molto serio. Sono le persone troppo ricche, le donne troppo belle e gli uomini con il pisello troppo grande.

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Tutti e tre i tipi citati, infatti, traendo dalla propria, specifica realtà una forte e continua compensazione rispetto al senso d’inadeguatezza che affligge ogni vivente, molto difficilmente entreranno in un processo di autoconoscenza per il semplice motivo che stanno benissimo dove sono. Su questo banale meccanismo psicodinamico si basa la storiella del cammello, del ricco e della cruna dell’ago.

In any case e per venire al punto vero, altrove (Keter), ho definito la consapevolezza come una struttura radiale e statica appartenente in modo esclusivo al terzo cervello (neo-corteccia) e ancorata alla propria creazione (al proprio universo) tramite il soma (corpo fisico). Perciò, la consapevolezza sarebbe quella parte della psiche capace di restituire all’individuo l’informazione d’essere e di esistere separato da quanto lo circonda.

Ora e a mente di quanto esposto prima, la consapevolezza è descrivibile come specifica specializzazione della forma cosciente la quale, quindi, starebbe alla consapevolezza proprio come un archetipo a ciascuna sua ipostasi.

Ecco, quindi, qualcosa che va oltre le banali questioni terminologiche. Sto affermando che il livello c.d. archetipico è proprio delle forme coscienti. Al punto che tali forme, una volta a contatto con la coscienza individuale, si manifestano come archetipi. Questo è davvero interessante, giacché toglie gli archetipi dall’ambito di sacralità nel quale sono stati sino a oggi.

Sempre altrove (Im-Teoria e Velocità di Propagazione della Consapevolezza), ho ipotizzato l’esistenza, in questo Multiverso, di un network psichico suddiviso in quattro ambiti in rapporto fra loro da contenuto a contenente, tutti disegnati partendo dal concetto di Inconscio Collettivo introdotto da Jung nel secolo scorso. Il tutto in base al seguente schema:

  • Inconscio Personale (IP) – singolo individuo;
  • Inconscio Collettivo (IC) – la singola specie;
  • Inconscio Universale (IU) – tutte le specie presenti in un universo;
  • Inconscio Multiversale (IM) – tutte le specie presenti in un Multiverso.

In forma grafica (l’oggetto contenitore è l’IM, gli oggetti sparsi nell’IM e denominati IU sono gli universi che lo compongono, l’oggetto denominato IC è il nostro universo, quello denominato IP è il sig. Mario Rossi):

Ambiti coscienziali
IM

Se volete, è solo un altro modo per suddividere la parte matriciale del Multiverso, ossia l’insieme di tutte le forme coscienziali in esso esistenti. Perché di questo stiamo parlando: della Matrix multiversale, ossia di un insieme di configurazioni astratte, le stesse che Jung aveva chiamato archetipi, che determinano in modo assoluto la direzione nella quale la consapevolezza potrà evolvere.

Roba da poco? Può essere, ma intanto abbiamo una sistemazione semplice e, consentitemi, piuttosto elegante di quegli oggetti oscuri e pesanti che per anni abbiamo chiamato archetipi.

Non solo, sembra anche possibile (e sensato) ipotizzare una progressiva perdita d’astrattezza di questi oggetti man mano che ci si allontana dall’IM. Al punto che, proprio questa descrizione diviene incredibilmente simile, ad esempio, alla gerarchia di leggi (e di mondi) indicata da Gurdjieff nella sua cosmologia.

Prendiamo, ad esempio, l’archetipo della “madonna con il bambino”.

madonna_con_bambino
Madonna con bambino

Per anni, questa immagine è stata per me un autentico mistero. Non capivo il senso del fatto che “dio” avesse avuto bisogno di una madre. Era quantomeno bislacco, di fatto e date le premesse, insensato. Sino a che, un giorno, tornando dal luogo montano dove avevo raccolto della psilocybe semilanceata, non incappai in un’immagine, all’incirca simile a quella in Figura 2.

I valligiani ne avevano fatto una gigantografia allo scopo di pubblicizzare una festività mariana, posizionandola a lato di un piccolo parcheggio e io, che avevo fermato la macchina allo scopo di fare una telefonata, me la ritrovai davanti.

Fu illuminante poiché, improvvisamente, vidi senza il minimo dubbio che davanti a me stava la raffigurazione precisa dell’archetipo della Mente il quale teneva in braccio la Consapevolezza.

Quel giorno, da solo in quel parcheggio, risi moltissimo perché mi resi conto che la risposta era sempre stata lì, non vista, davanti ai miei occhi.

Maria, come ogni archetipo, è una macchina. Una configurazione coscienziale che predetermina lo sviluppo consapevole, costringendolo dentro una forma specifica. Forma che, in quest’universo, percepiamo ogni volta che guardiamo negli occhi un nostro simile (sì, non proprio tutti) o che ci ricordiamo di noi stessi. Tuttavia, si tratta di un archetipo che espone già rilevante concretezza e specificità. Infatti, appartiene all’IC della specie umana e, come tale, è l’estrema ramificazione di un albero che ha la sua radice nell’IM.

Questo comporta che lì, nell’Inconscio Multiversale, esistono e agiscono forme coscienti impensabili per noi, forme talmente primitive e astratte da essere capaci di “risolvere” tutte quelle presenti in tutti i 2048 IU esistenti e, a maggior ragione, quelle in seguito ramificate. Infine, quello descritto è un processo di realizzazione in forza del quale la Coscienza Creatrice specializza se stessa allo scopo di trovare una soluzione alla Danza Folle. Essendo, tuttavia, tale processo legato inevitabilmente al sonno, a sua volta generato dalla necessità di dimenticare la solitudine, l’inevitabile risultato è la proliferazione di forme parassite a ogni livello consapevolezza. Questo, però, potrebbe essere l’oggetto di un lavoro successivo.

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3 Risposte a “Coscienza Creatrice e Consapevolezza”

  1. Riprendo il passaggio che segue e svolgo alcune considerazioni.
    “il nostro modo d’essere consapevoli è pensabile solamente in costanza di spazio e tempo, ossia e infine, all’interno di un sistema assiomatico poiché ciascuna dimensione funge necessariamente da limite del sistema. Infatti, le quattro dimensioni che caratterizzano la creazione nella quale esistiamo, delimitano una precisa porzione d’infinito all’interno della quale noi possiamo divenire consapevoli.”
    Forse in questo momento non sono particolarmente incline all’ottimismo ma a volte mi chiedo: chi mi dice dunque che il fenomeno della consapevolezza non faccia semplicemente “parte del film” della creazione nella quale esistiamo senza avere quel carattere dirompente, quel quid pluris tipico di qualcosa di esterno a un gioco o a un film che, nel caso che qui interessa, permetterebbe di risolvere la danza folle?
    C’è un filo di finalismo e di visione comunque teleologica nell’impostazione proposta dal Filo (di cui chiederei eventualmente il fondamento) o, di nuovo, potrei capire da solo e c’è qualcosa che mi sfugge?

    1. Sai, quando lessi Il Dono dell’Aquila rimasi di stucco dinanzi all’affermazione del vecchio nagual secondo la quale lo scopo dell’uomo è quello di creare consapevolezza (destinata ad essdere cibo per l’Aquila).

      Molti anni sono passati da quei giorni, eppure la meraviglia di quell’asserzione così apparentemente semplice e ovvia, spesso mi scuote ancora.

      Certo che il finalismo esiste, sta tutto nello Scopo che ho chiamato Stato Terzo. Senza scopo esiste solo follia. Senza scopo l’immortalità è quanto di più spaventoso posso immaginare.

      Quando giunsi alla “consapevolezza” del fatto che la CC soffriva in entrambi i suoi due stati, compresi che l’unica cosa sensata che avrei potuto fare sarebbe stata quella di cercare una soluzione. E quando la verbalizzai improvvisamente tutto acquisì senso profondo.

      In ogni caso, la mia è solo una descrizione che, proprio per le premesse che io stesso mi sono date, è vera e falsa nel medesimo tempo.

      Ho solo scelto di trattarla come vera, ma per puro pragmatismo perché, in realtà, non credo in niente. Se non nella Consapevolezza che riesco a misurare.

  2. Beh sì, penso che, in fondo, sia l’unica opzione possibile.
    Iniziai a leggere le opere di Castaneda circa a metà degli anni ottanta e facevo fatica a sistemare in un quadro organico quanto veniva esposto, peraltro, in forma romanzata. Ultimamente la letteratura di interpretazione e commento a Castaneda si è molto sviluppata e sono stato agevolato. Molto utile è anche il materiale presente qui per il quale non posso ancora che ringraziare.

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