Dialogo Interno

Il presente articolo tratta del Dialogo Interno (DI), ossia di un fenomeno che interessa ogni individuo e che è descrivibile come una costante confabulazione interiore, fatta di pensieri concatenati che sembrano nascere in modo spontaneo nella mente umana e che coprono sia l’intero periodo di veglia, sia le fasi REM del sonno. Di seguito, una breve legenda che illustra alcuni concetti che saranno usati in questo lavoro.

Centro Rettile (CR) Archipallium o cervello primitivo, costituito da cervelletto e bulbo spinale. È il dominus dell’intero sistema grazie alla sua velocità d’intervento, incommensurabilmente superiore a quella degli altri due centri. È depositario della Direttiva Primaria (DP): sopravvivere.

Centro Emotivo (CE) Paleopallium o cervello intermedio, costituito dal sistema limbico. È meno veloce del CR, ma significativamente più rapido del CI.

Centro Intellettuale (CI) Neopallium o neocortex, costituito dagli emisferi cerebrali. È il centro più lento e quello con il compito di produrre consapevolezza (nello specifico, costruire il significato in vista di una presa di decisione).

Ego Costrutto olistico delle funzioni d’accesso (internal brain) alle memorie individuali (outer brain).

Doppio Mnestico (DM) –  Costrutto olistico delle suddette memorie individuali (v. Il Doppio Mnestico).

Io Osservatore (IO) –  Istanza silente, di origine animica, capace di identificarsi sia con l’Ego, sia con il DM.

Neurotrasmettitore (NT) – Sostanza che veicola le informazioni fra i neuroni in forza di un meccanismo elettrochimico denominato trasmissione sinaptica (TS). Nel nostro organismo agiscono oltre cinquanta NT comuni che ne regolano ogni aspetto di funzionamento. Alcune di queste sostanze svolgono il doppio ruolo di neurotrasmettitore nel sistema nervoso centrale e di ormone locale a livello periferico. Per farla breve, l’intera storia del nostro corpo è scritta da queste sostanze le quali sono descrivibili come gli agenti responsabili della costante (ri)creazione somatica in atto in ogni individuo.

Onde Sinaptiche (OS) – Perturbazioni bioelettriche determinate dall’azione di uno o più NT in un determinato istante. Sotto il profilo sinaptico, quindi, il soma è descrivibile come un mare costantemente agitato giacché, anche in omeostasi, l’attività neurale è presente. Ciò è dovuto soprattutto al CR il quale, dovendo gestire la sopravvivenza dell’organismo biologico, non cessa mai la sua attività (per dire, il cuore non smette di battere e la cassa toracica di espandere e contrarsi nemmeno durante il sonno delta).

Pulsioni e ibridazione

Secondo Freud, una pulsione ha la sua fonte in un eccitamento somatico, ossia in uno stato di tensione che spinge la personalità cosciente ad agire con lo scopo di risolvere quella medesima tensione. Attenzione, dunque, perché questo è molto importante: la pulsione come frutto di un processo somatico che genera nell’individuo dei processi psichici. Bingo. Tre cervelli che autonomamente generano perturbazioni bioelettriche (poiché i neuroni che li compongono si valgono tutti, senza eccezione, della trasmissione sinaptica, ossia del meccanismo che governa la produzione di NT) i quali danno vita a pulsioni pure, ancorché destinate a una fatale ibridazione, che generano una costante tensione  psicofisica.

Nota – La moderna psicoanalisi ha stoltamente abbandonato questa lettura, rinunciando alla preziosa chiave offerta dal livello somatico per la comprensione delle pulsioni e spostando l’intera speculazione psicologica nel campo relazionale con, tuttavia, i risultati che sono sotto gli occhi di ciascuno. In realtà, ogni psichiatra o psicoterapeuta che valga il pane che mangia sa bene che l’origine somatica delle pulsione è reale, viceversa nessun farmaco antipsicotico avrebbe alcun effetto sulle psicosi (non a caso si afferma che i farmaci neurolettici hanno obiettivi neurotrasmettitoriali, in altri termini la diminuzione di dopamina nel brain).

Osservate il seguente schema che riguarda il centro più potente, quello che non dorme mai: il CR.

Rettile

Il cerchio interno rappresenta il CR, mentre i cerchi concentrici che lo circondano descrivono l’effetto della produzione dei neurotrasmettitori che, durante l’esistenza in vita, compiono il costante lavoro di ricreazione e manutenzione dell’organismo biologico. Nei rettili accade precisamente questo e null’altro. Si osservi, quindi, questo secondo schema il quale descrive ciò che accade in un mammifero:

Interferenze Rettile Emotivo

In questi animali, i centri sono due poiché, sul CR, l’evoluzione ha fatto crescere un secondo cervello, quello emotivo. Ebbene, ciò che questo comporta è l’inevitabile interferenza che le pulsioni pure generano le une rispetto alle altre qualora entrambi i centri siano attivati. Interferenza che, fatalmente, induce l’ibridazione delle pulsioni coinvolte, ossia la nascita di una nuova pulsione, diversa e più potente delle pulsioni pure che l’hanno generata. Ibridazione che, quindi, si concreta a livello sinaptico e che, nell’uomo, individuo a tre cervelli, molto facilmente assurge a livelli patologici.

Interferenza Rettile Emotivo Logico

Considerato, quindi, il fatto che il CR non cessa mai la sua funzione mentre gli altri due centri conoscono fasi di accensione e spegnimento, nell’uomo sono possibili tre livelli di ibridazione (distribuiti nelle fasi di sonno e di veglia):

  1. CR-CE (ibridazione semplice);
  2. CR-CI (ibridazione semplice);
  3. CR-CE-CI (ibridazione complessa, il caso più frequente).

I primi due livelli sono resi nei sogni da animali quali i gatti (1) e gli uccelli (2), mentre il terzo da chimere variamente complesse, così come da esseri mostruosi fortemente caratterizzati.

Ora, una delle questioni fondamentali da affrontare è quella relativa ai diversi linguaggi usati dai centri. Per farla breve, come si può descrivere un profumo? Semplice, non si può. L’unica cosa che posso fare è usare una metafora (questo vino profuma di frutta matura), in sostanza uso un trucco che descrive l’oggetto (il profumo) esclusivamente in forma mediata. Un limite, questo, che diviene evidente qualora io percepisca un profumo mai sperimentato prima e che, per di più, non riesca ad associare a qualsiasi altro profumo conosciuto. Se, poi, la fonte di tale profumo restasse sconosciuta (perché portato dal vento) l’unico modo che avrei per descriverlo comporterebbe la forma “un profumo che non ho mai sentito prima”, ossia un’ulteriore astrazione della metafora.

Ecco, il meccanismo appena descritto chiarisce come il sogno sia espressione di un linguaggio totalmente metaforico attuato dalla parte attiva di CI (quella che sogna). Tale parte se, da un lato, si sforza di tradurre in termini logici il contenuto di pulsioni provenienti da fonti (CR e CE) che usano linguaggi del tutto privi di logica (sensoriale il primo, emotivo il secondo), dall’altro definisce in modo preciso il concetto di ibridazione.

Il punto, infatti, sta nell’intensità della perturbazione bioelettrica e, di conseguenza, nella sua capacità di influenzare l’Io Osservatore (normalmente identificato con l’Ego). Più l’ibridazione è spinta, più l’intensità della pulsione aumenta generando nell’IO-Ego (il quale ha consapevolezza di sé grazie al terzo cervello) lo stesso meccanismo attuato nei sogni, ossia il tentativo di traduzione simultanea di un’informazione analogica in pensiero logico, binario. Ebbene, il Dialogo Interno nasce in questo modo, come risultato della reazione (meccanica) dell’IO-Ego al moto ondoso generato dalle numerose sinapsi costantemente in atto nel nostro Sistema Nervoso Centrale (SNC).

Dilaogo Interno

Attenzione perché per onda sinaptica intendo non solo il complessivo effetto che i Neurotrasmettitori in partita hanno sui neuroni bersaglio, ma soprattutto l’umore che, nel loro complesso, questi neuroni determinano nell’intero psichismo. Tutto ciò è, a mio avviso, molto efficacemente descrivibile come un’onda poiché trattasi di un fenomeno che espone anzitutto un’intensità crescente, quindi un picco o cuspide e, infine, una coda decrescente. Considerato, poi, che le onde sinaptiche sono continuamente generate dal SNC, vien da sé che l’immagine del moto ondoso descriva in modo assai verosimile il divenire della quotidiana realtà psichica di ogni singolo individuo.

Nota – Qualunque psicofarmaco (neurolettico, ansiolitico o ipnotico che sia) agisce in modo diretto e forzoso sulla tempesta sinaptica in atto nel singolo individuo, piallando le cuspidi delle onde sinaptiche, ovvero producendo nuove onde, di tipo diverso e capaci non solo di evitare all’IO-Ego la sofferenza, ma anche di indurre benessere (oppiodi e cannabinoidi, ad esempio, fanno proprio questo).

La meccanica del DI, quindi, è descritta in modo fedele dalla reazione dell’Io Osservatore alla costante perturbazione biolelettrica in atto nell’individuo. Sul punto, tuttavia, è d’uopo ricordare che, nella descrizione che vado proponendo, l’IO è un’istanza animica, ossia qualcosa che appartiene alla nostra parte immortale. Ne consegue che tale istanza preesiste all’organismo biologico e, di conseguenza, ai suoi tre cervelli. Come detto, però, è anche un’istanza del tutto silente che, proprio per tale sua natura, se intende sperimentare l’esistenza fisica non ha altra possibilità che quella di identificarsi con la macchina che la ospita (il c.d. Burattino, v. Anima).

In sostanza e proprio in virtù di tale profonda identificazione in atto, l’IO è sistematicamente travolto dall’onda sinaptica di turno. In altre parole, l’IO ruzzola dentro tale onda senza nemmeno rendersene conto. Siccome, poi, a livello cerebrale l’IO è identificato con l’internal brain (v. L’Arte dell’Agguato) l’unica cosa che può fare è ripetere all’infinito ciò che fa nei sogni ricorrendo al trucco della verbalizzazione metaforica per cercare di rendere logico ciò che logico non è.

Se a questo accostiamo l’habitus che il singolo trae sia dal proprio corredo genetico, sia dal processo educativo al quale è stato sottoposto durante l’infanzia sia, infine, dalle esperienze di vita vissuta, il risultato non può che essere una serie compulsiva di loop fatti di pensieri circolari dentro i quali l’individuo ripete se stesso all’infinito. I medesimi loop che costituiscono il substrato sia delle più comuni nevrosi, sia delle psicosi.

Nel bambino, se il meccanismo è identico, il suo risultato è tanto più diverso quanti meno sono i suoi anni di vita. Al punto che nel neonato, ossia in un individuo con un internal brain del tutto assente, non vi è alcuna verbalizzazione. Ciononostante, il piccolo possiede un CI e questo non può essere senza conseguenze.

Nota – La funzione del CI è di dare significato al percetto, associare cause a effetti e interpretare l’input sensoriale. Nei neonati, quindi e almeno in teoria, dovrebbe svolgere la funzione per la quale è deputato, costruire gradualmente il significato degli eventi che accadono cercando di individuarne la prevedibilità. Eventi che, nell’adulto, sono cristallizzati nel formato: “io sono così, il mondo è fatto così, gli altri sono così, allora farò così..” in un pacchetto compatto di convinzioni, emozioni e comportamenti associati.

Any way, nel bambino la carenza di strutture golemiche, così come l’estrema semplicità di quelle già presenti, fa sì che il DI, nonostante sia comunque attivo, si manifesti con una libertà di forme e contenuti che per l’adulto, almeno in condizioni normali, sono del tutto impensabili. Tuttavia, la chiave per comprendere come approcciare il problema posto dal DI è individuabile proprio in tale libertà. Qualcosa che potrebbe ricordare la meditazione.

Oriente

Da millenni, l’uomo pratica forme di meditazione, tanto che il primo accenno alla pratica meditativa si trova nelle Upaniṣad (IX – VIII secolo a.c.). Non ho intenzione di infilarmi in una descrizione delle tecniche meditative, tuttavia e conoscendone alcune, credo si possa affermare che ne esistono sostanzialmente due forme: una prima, qualificabile anche tradizionalmente con il termine meditazione, la quale prevede la concentrazione dell’attenzione in un singolo punto e una seconda, definibile come contemplazione che ha come fine la c.d. talità (in sanscrito Tathātā), ossia uno stato dell’essere che restituisca all’IO la vera natura della realtà (mindfulness). La prima è quasi muscolare poiché cerca di spegnere alla radice la fonte del DI per giungere all’assenza di pensieri (Vipassana, si concentra sul respiro allo scopo di interrompere il DI).

La seconda, viceversa, è passiva in quanto prevede la rinuncia a qualunque atteggiamento considerativo rispetto al flusso mentale il quale è lasciato libero di fluire senza che, però, il miste vi si attacchi in qualunque modo (allo scopo di portarlo a sperimentare l’essenza dell’istante che sta vivendo). La prima è solo mentale, la seconda è solo emozionale. Entrambe sono fallaci, per due ordini di motivi:

  1. Ignorano il Centro Rettile.
  2. Lasciano sostanzialmente inalterato il parco golemico del meditante.

Nel primo caso l’intera pratica è ridotta a una scappatella, peraltro concessa dal rettile. Infatti, sono molte le persone che non hanno alcun modo di sperimentare entrambe le tecniche di meditazione perché il loro rettile semplicemente non glielo permette. In effetti, se fosse solo per questo, non sarebbe un grande problema. Tuttavia c’è il secondo punto, ossia il vero problema perché coloro che riescono nella pratica o finiscono nel Nulla (cosa peraltro cercata) oppure, terminata la sessione, tornano ad essere quelli di sempre . È la storiella dei monaci induisti che nel secolo scorso volarono negli stati uniti per insegnare il Dyhana. Costoro, lasciato l’altipiano himalayano e a contatto con le femmine occidentali sempre più svestite e disinibite, crollarono come pere cotte. Questo perché gli anni di isolamento e di meditazione avevano lasciato intonso il loro parco golemico, ossia la congerie di macchine neurali che ogni individuo usa ogni giorno per vivere la vita di relazione.

Occidente

In occidente, una delle forme più comuni di meditazione (prescindendo da isolati tentativi in ambito cristiano come, ad esempio, La nube della non-conoscenza) è stata la recitazione teatrale. Sul punto vi propongo un frammento, redatto da un ex guerriero del Filo che, credo, renda perfettamente il senso di ciò che intendo significare:

Sono stata molto incostante nel riuscire a recitare anche se non ne comprendevo appieno il perché.
Ho interpretato alcuni personaggi con un trasporto emotivo estremamente intenso e le volte in cui è successo ho sempre colpito tantissimo chi mi guardava. La mia insegnante di teatro australiana, quando vivevo a Londra, si mise a piangere quando recitai un pezzo di Sarah Kane, una scrittrice britannica parecchio estrema (si è suicidata negli anni 90), interpretando una schizofrenica con doppia personalità e una sofferenza dilaniante (era stata torturata e il suo amato fratello gemello era morto).

Amavo quel pezzo per quanto dolore lancinante mi permetteva di provare sotto il mio totale e pieno controllo. Infatti in seguito riproposi lo stesso copione all’esame della scuola di Teatro di Bologna e uno degli insegnanti più severi mi applaudì. Lo fece dicendomi che applaudire a un esame andava contro le sue regole ma ero stata strabiliante. Era allibito perché a suo avviso non avevo mai dimostrato di avere grandi doti, infatti non mi aveva mai vista emozionarmi perché i pezzi che mi dava lui a me facevano schifo! 😀

Il punto è che io stavo usando il potere, emozionandomi a comando. E lo facevo usando il mio DI. Mi inventavo un DI specifico per il personaggio in questione e lo alimentavo immedesimandomi e provocando l’emozione corrispettiva. Ecco, questa è la mia testimonianza da attrice col DI.

Anche qui, il meccanismo si ripete. Nella recitazione, l’individuo trova il modo per uscire da se stesso, sperimentando uno stato dell’essere in qualche modo eccezionale salvo, poi, rientrare nel recinto dei propri golem, ritrovandosi uguale a come è sempre stato.

Per tornare al tema, quindi, quel che dovrebbe essere chiaro è che il DI funziona in base a uno schema semplice, al solito, descrivibile da una triade composta da:

  • una forza attiva (il moto ondoso dovuto alla perturbazione sinaptica);
  • una forza passiva (il sistema golemico che si oppone a tale forza);
  • una forza neutralizzante (il Dialogo Interno che scaturisce da tale conflitto).

Per questo, prima di qualsiasi altra cosa è necessario smantellare la parte considerativa del sistema golemico (SG), ossia tutte quelle macchine che producono attaccamento, di qualunque intensità possa essere. Questo perché più tale sistema è esteso e pesante, più il DI sarà intenso e compulsivo e l’individuo paralizzato dalla paura.

Viceversa, un SG fluido e privo di istanze considerative porta i frutti delle diverse meditazioni direttamente dentro la vita di ogni giorno poiché permette all’IO di surfare l’onda sinaptica restando in ciò che Gurdjieff definiava Ricordo di Sé. Cosa che gli consente di sperimentare l’emozione per quello che è in realtà: pura energia e non insensata confabulazione.

In altre parole, ricondurre il nostro SG in stato di fluidità equivale a tornare come bambini, ossia individui per i quali, ad esempio, la talità è un aspetto frequente e spontaneo dell’intera esperienza di veglia. Uno stato dove non esistono né la paura né il senso di abbandono e nel quale tutto è pieno sino all’orlo giacché il potere creativo fluisce da noi in modo continuo e armonioso.

 

[Aggiornamento 28/09/2018]

Un Agguato corretto e costante consente una disidentificazione egoica o, se preferite, golemica talmente potente da consentire un risultato, per molti versi, sconvolgente. Può accadere, infatti, di divenire all’improvviso consapevoli delle proprie connessioni neurali. Intendo allo stesso modo con il quale siamo consapevoli delle nostre mani o di una qualunque parte della nostra struttura muscolare. Lo stato è, nel medesimo tempo, facile e difficile da descrivere. Facile perché, come detto, sentiamo di poter “muovere” o, più propriamente, “modificare” tali connessioni in base all’esigenza del momento. Le sentiamo fluide, tanto da sentirci capaci di direzionarle in qualsiasi modo. Sul punto, posso affermare che la sensazione è assai simile a quella del galleggiamento. In alcuni istanti, è come percepire l’intero brain in una sorta di stato plasmatico.

Difficile perché si tratta di una sensazione che avviene all’interno del brain, qualcosa che per la neurologia non può semplicemente verificarsi. Il brain, infatti, non conosce il dolore. Quando vi duole la testa, sono le meningi a soffrire, non i neuroni cerebrali. Se, quindi, la struttura non può sperimentare dolore proprio, come può trasmettere qualunque altra sensazione fisica?

Eppure, la cosa è reale e, se accade, vuol dire che gli anni d’Agguato hanno portato i vostri neuroni in quello stato di libertà sinaptica che Juan Matus chiamava Libertà Totale.

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